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Il ritratto del duca

di ANNA SCHMIDT

Dopo la perdita del patrimonio di famiglia e la rottura del fidanzamento senza amore con un magnate di affari di Boston, Jeanne Witherspoon è fuggita a Parigi per dipingere e frequentare solo anime a lei affini. Quando fa la conoscenza di un duca inglese che condivide il suo amore per l’arte le basta avere la sua amicizia, nonostante sia sempre più attratta da lui.

Ma un tragico segreto ha seguito il duca August Groton-Hames fino a Parigi, e i pettegolezzi si diffondono a macchia d’olio quando commissiona il proprio ritratto a Jeanne. E’ possibile che le sue intenzioni nei confronti di Jeanne non siano del tutto onorevoli?

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Mentre Yves dava indicazioni alla sua sarta per adattare l’abito al fisico snello di Jeanne, la rimproverava per essere stata tanto pungente con il duca. «Hai idea di chi sia? Della sua storia e, soprattutto, del suo patrimonio?»

«Oh, Yves, non si dovrebbe mai giudicare le persone per la loro ricchezza o il loro titolo.»

«Forse August Groton-Hames è l’uomo più ricco di tutta Europa. Solo la sua collezione d’arte vale una fortuna. Ed è un’eccellente collezione, contrariamente ad altre.»

«Come lo conosci?»

«Ho disegnato alcuni abiti per sua sorella e per la donna che avrebbe dovuto sposare. Si è interessato di persona e abbiamo fatto conoscenza. Ha una grande curiosità per la gente di tutte le classi.»

«E quale sarebbe la sua storia?»

«È alquanto misteriosa. Era fidanzato con una lontana cugina per parte di madre, quel collegamento con gli Hapsburg che hai colto nel suo accento. La ragazza è morta in circostanze che non sono mai state chiarite, in un incidente in barca. Si sussurra che lui non l’abbia salvata anche se avrebbe potuto. Poco dopo è venuto a vivere qui. Torna in Inghilterra solo quando lo richiedono gli affari o la politica.»

«È molto triste. Lui l’amava?»

«In certi ambienti l’amore è raramente il fattore più importante, Jeanne. Era nobile, bella e abbastanza giovane da potergli dare almeno un erede. Era in programma un matrimonio in grande e tutti speravano in un invito.»

Jeanne ripensò agli occhi del duca, pieni di tristezza e solitudine malgrado sorridesse. «Credo che l’amasse. Mi è parso molto gentile.»

«Di certo è rimasto colpito dal tuo talento. Guardava i tuoi schizzi con l’occhio del collezionista, e di uno che potrebbe diventare il tuo mecenate.»

«Le mie opere non sono in vendita» disse Jeanne seccamente, stendendo il collo per vedere come le stava l’abito dietro.

«Forse invece dovresti venderle» le consigliò Yves mentre aggiustava il fiocco. «Allora potresti permetterti un mio abito.»

Un tempo Jeanne avrebbe potuto permettersi mezza dozzina di quei vestiti. Ma ora non più. Forse Yves non aveva torto. «Non puoi credere davvero che qualcuno, e tantomeno un noto collezionista, voglia pagare veramente le mie opere.»

«Sei molto dotata, Jeanne, e lo sai. Il tuo problema è che ti hanno insegnato che sarebbe volgare fare commercio del tuo talento. Ma, rispondimi, che cosa faresti se fossi un uomo?»

«Venderei le mie opere.»

Allora perché una donna non può fare lo stesso?

 

Appena arrivò al teatro con Yves, Jeanne pensò che era soddisfatta dell’abito. Era perfetto, di pesante raso azzurro con delle piegoline sul corpetto, abilmente create dalle mani esperte di Yves, e grandi fiocchi piatti su ogni spalla. La gonna era sollevata in un drappeggio laterale, trattenuto da un altro fiocco. Jeanne portava lunghi guanti da sera in capretto bianco, che la coprivano fino ai gomiti, e scarpe in seta abbinate, con perline scintillanti che riflettevano la luce a ogni passo. Si sentiva una principessa e si accorse di attirare gli sguardi mentre seguiva la maschera che li accompagnava al palco privato del duca.

Era impossibile non notare il modo in cui Lord Groton-Hames sgranò gli occhi nel vederla. Era uno sguardo che Jeanne conosceva bene. L’unica lezione che aveva imparato era che gli uomini facoltosi e potenti come il duca avevano la brutta abitudine di dare per scontato che a tanta ricchezza si accompagnassero certi privilegi. A un certo punto avrebbe dovuto fargli capire chiaramente che era a Parigi per due motivi: per dipingere e per sfuggire alla vita soffocante che avrebbe dovuto sopportare se fosse rimasta con i genitori. Non le interessava l’amore. D’altronde era pur sempre una serata di divertimento, e non c’era niente di male a dedicargli qualche innocente schermaglia civettuola, visto che il duca era stato tanto generoso.

Jeanne gli porse la mano guantata. «Vostra Grazia» mormorò, abbassando pudicamente le ciglia, non prima di vedere Yves che, alle spalle del duca, alzava gli occhi al cielo con ironia.

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