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Vicini di casa, vicini di cuore

di CAROL MARINELLI

Celeste: Il mio nuovo vicino di casa è davvero affascinante e oltretutto lavoriamo nello stesso posto. Ma adesso ho altro a cui pensare, devo assolutamente concentrarmi sulla mia vita. Forse Ben può rivelarsi un piacevole diversivo.
Ben: Un altro anno, un nuovo inizio, quello che mi ci vuole per dimenticare. Allora perché mi sento così nervoso? Forse sono solo agitato per il mio primo giorno di lavoro. E poi, ci mancava pure la strana attrazione che provo per Celeste. Possibile che uno come me abbia voglia di una relazione stabile?

9

In uno dei suoi pochi giorni liberi Ben era in piedi già alle sei della mattina. Avrebbe dovuto iniziare a svuotare gli scatoloni e a ridipingere la cucina, e in­vece te­neva in mano le chiavi della macchina di Ce­leste e le faceva dondolare con aria perplessa. Si av­viò lungo la strada: aveva deciso che prima si sa­reb­be occupato dell'auto, poi avrebbe fatto una corsa sulla spiaggia e alla fine avrebbe aperto gli sca­to­lo­ni.

    Come mise in moto la macchina, questa partì con un sordo brontolio, il che significava che non si trattava della batteria. Alle otto chiamò il mec­ca­ni­co pre­gan­dolo di venire a dare un'occhiata. L'uomo aprì il co­fa­no e si grattò la testa. «Vuole un con­si­glio?»

    «No, voglio solo che la metta in grado di partire e viaggiare senza problemi.»

    «Le gomme sono lisce.»

    «Bene, gliene metta delle altre! Magari di se­con­da mano ma affidabili.»

    Ci volle tutta la giornata, ma finalmente alle sei Ben arrivò in ospedale con le chiavi della macchina in ta­sca. «Come sta Willow?» domandò per prima cosa.

    «Un po' meglio, grazie.» Celeste aveva l'aria di­strutta. Aveva i capelli sporchi e delle occhiaie spa­ventose come se fossero tutte impiastricciate di rim­mel. Peccato che fossero mesi che non si truccava. «Tra poco avremo i primi risultati dell'emocoltura e non ha la febbre da mezzogiorno.»

    «E i gas nel sangue?»

    «Sono migliorati» rispose con evidente sollievo. In quel momento non ragionava come un'infermiera ma come una mamma qualunque e pendeva dalle labbra di tutti: medici e infermiere. «È ancora sotto ossigeno.»

    Ben voleva saperne di più, vedere le lastre e i ri­sultati degli esami del sangue e decise che sarebbe salito a parlare col neonatologo.

    «Ho potuto prenderla in braccio un momento» disse Celeste con voce tremante, «adesso c'è mia madre con lei.»

    «Be' mi sembra che le notizie siano buone» dichiarò Ben soddisfatto. Poi l'accompagnò in mensa e le prese una cioccolata calda dal distributore e dei cereali. A un tratto si ricordò che era venuto a por­tarle le chiavi della macchina, e le tirò fuori dalla tasca.

    «Cos'aveva?»

    «Bisognava cambiare la batteria» tagliò corto lui, tacendo sul motorino d'avviamento, i dischi e le pa­stiglie dei freni, la marmitta e tutto il resto.

    «Quanto ti devo? Qui c'è uno sportello bancario automatico e vado subito a prelevare.»

    «Non è costato molto, ne riparleremo quando Willow starà meglio.» Con la bambina in quelle condizioni Celeste aveva assolutamente bisogno di poter con­tare su una macchina efficiente. Inoltre questo serviva anche a lui, così non sarebbe più sta­to svegliato alle due di notte, anche se non gli era pesato più di tanto. Anzi, sarebbe rimasto molto male se avesse saputo quello che era successo da qualcun altro il giorno suc­cessivo. Erano quasi ven­tiquattro ore che non dor­mi­va, però la sua mente la­vorava. Celeste aveva bisogno di un amico, un vero amico, e lui lo sarebbe stato al­meno fino a quando Willow non fosse tornata a casa. «Pensavo che quando la bambina starà meglio po­tremmo pren­der­ci una giornata di vacanza» azzardò.

    «Dove?» chiese lei.

    «Magari in mare.»

    Lei scosse immediatamente la testa. «E se suc­ce­de di nuovo qualcosa? Ci metteremmo troppo ad ar­rivare qui.»

    «Non ti sto proponendo una gita all'equatore, ma solo un giretto e un pranzetto sulla spiaggia, qui vi­cino.»

    «Non so, in ogni caso grazie.»

    «Non dirmi subito di no, pensaci su.»

 

    Lei non ci pensò affatto. In realtà era in preda a una specie di ossessione e non riusciva a pensare ad altro.

    Quando Willow superò quello che si era rivelato un brutto attacco di polmonite e incominciò a pren­dere peso regolarmente, s'incominciò a parlare di dimissioni. Willow ormai beveva solo il latte dal bi­beron, il che le lasciava un po' più di libertà e ogni tanto poteva tornare a casa o andare dal dottore da sola.

    «Celeste?»

    Ben la superò nel corridoio dell'entrata principale e in mezzo a tutte quelle persone che andavano e venivano c'era lei, pallida come un lenzuolo e con l'espressione un po' sperduta.

    Le toccò una spalla. «Celeste... va tutto bene?»

    Lei fece uno sforzo per concentrarsi. «Sì» rispose alla fine, «va tutto bene.»

    «Willow?»

    «Sta bene anche lei» rispose brevemente, senza fare la solita cronistoria dei progressi della bimba.

    «Tu come stai?» le chiese Ben notando le sue labbra secche.

    «Ho un po' di nausea» ammise, «stavo andando a prendere qualcosa da bere, ma c'è una coda ter­ri­bi­le.»

    «Mettiti qui seduta, ci penso io.» Celeste non protestò, segno che stava davvero male. In effetti c'era una coda notevole, ma Ben sapeva essere ar­ro­gante quan­do era necessario e la superò prendendo direttamente dal distributore due bottigliette d'ac­qua, una di succo e un dolcetto. «Ecco qua!» e­scla­mò posando il tutto sul tavolino. Celeste bevve a­vi­damente un lungo sorso d'acqua.

    «Come hai fatto a fare così in fretta? Io avevo ri­nunciato.»

    «Privilegi della professione» confessò striz­zan­do­le un occhio, «ti ho preso anche qualcosa da man­giare nel caso ti venisse fame.»

    Celeste arricciò il naso. «Quanto ti devo?» chiese prendendo il borsellino.

    «Non fare la sciocca.»

    «Aggiungilo al mio conto» gli disse. Poi, non­cu­rante della gente che passava, della luce e del ru­mo­re si piegò in avanti appoggiando la testa sulle ma­ni. Estraniata da tutto, sentiva solo la voce di Ben.

    «Posso prenderti il polso un attimo?» le chiese lui con dolcezza, cercando di non sembrare troppo pre­occupato.

    «No.»

    «Devo dire che oggi non sei affatto simpatica.» Le sollevò un attimo la testa e vide il suo viso spen­to, gri­giastro.

    «Mi avevano detto di aspettare mezz'ora.» Per­si­no la sua voce era spenta. «Avrei dovuto dare retta a lo­ro.»

    «Mi faccio mandare una barella dal Pronto Soc­corso?»

    «Ti prego non farlo!» Lentamente alzò la testa e gli fece un debole sorriso.

    «Va un po' meglio?»

    «Sì, meglio» rispose lei facendo un sospirone, «è la seconda volta che mi eviti di fare figuracce.»

    «Partorire non è imbarazzante.»

    «Di solito no, ma in una strada affollata sì.»

    «Hai ragione, meno male che sono riuscito a por­tarti in quello che adesso è il mio giardino. Sarebbe equivalente a svenire davanti all'ingresso del Pronto Soccorso dell'ospedale. Che cosa è successo per far­ti sen­tire così?»

    «Ho appena fatto il controllo postnatale.»

    «Oh.» Era un medico, abituato a sentire i discorsi privati delle infermiere, ma non poté impedirsi di arrossire.

    «Mi hanno suggerito di mettere la spirale nel ca­so preveda di avere rapporti sessuali in futuro, ma io non ci penso nemmeno!»

    Ben scoppiò a ridere. «Sempre che tu lo desideri, naturalmente.»

    «Ne dubito molto.» Bevve un altro lungo sorso d'acqua e poi prese in mano il muffin e iniziò a pi­luccarlo. «Sembra che esagerino, ma non è così. Io sono una specie di disastro dal punto di vista fa­mi­liare, e ho una bimba in Terapia Intensiva...» Ben interruppe l'e­lenco dei suoi guai, probabilmente non era affatto in­teressato specie per quanto riguardava la parte del pa­dre di Willow che non ne voleva sa­pere della bam­bi­na. «Comunque mi avevano anche consigliato di an­dare a sdraiarmi per una mezz'ora dopo la visita.»

    «E ovviamente tu ti sei guardata bene dal­l'ob­be­dire.» La sua voce era severa.

    «Ma stavo benone» si difese Celeste stringendosi nelle spalle.

    «Almeno che ti serva da lezione, la prossima vol­ta farai come ti viene detto.»

    Lentamente stava diventando meno pallida e an­che le labbra avevano ripreso un po' di colore. Era contenta di aver chiacchierato un po' con Ben, ma guardando l'orologio vide che ora di dare il biberon a Willow. «È meglio che torni su da lei...» mormorò alzandosi.

    «Non è meglio aspettare ancora dieci minuti?»

    Forse avrebbe aspettato, ma il suo cicalino squi­l­lò. Era il segnale che Willow si era svegliata e a­ve­va fa­me.

    «Devo andare.»

    «Ti accompagno su.» Ben era ancora preoccupato per il suo pallore.

    Alla fine del corridoio presero l'ascensore e quan­do arrivarono all'entrata della Terapia Intensiva no­tò che Celeste era diventata improvvisamente ner­vosa.

    «Vuoi entrare?» gli chiese con un po' di e­si­ta­zio­ne, «così vedrai di persona i suoi progressi.»

    «Mi piacerebbe molto» rispose lui. Celeste per­ce­pì il ma ancora prima che lo pronunciasse. «Ma de­vo tornare in Pronto Soccorso, magari un'altra vol­ta?»

    «Certo.» Non riusciva a capirlo. Sembrava com­battuto tra il desiderio di stare con lei e nello stesso tesso tempo da quello di fuggire lontano.

    «Hai ripensato alla mia proposta di fare un giro in barca?»

    «Sì, ma non credo che potrò perché pro­ba­bil­men­te la dimetteranno lunedì prossimo e devo ancora preparare un mucchio di cose.»

    «Ricorda che io ho il prossimo weekend libero, quindi l'offerta è sempre valida. Fammi sapere.»

 

    Era tutto pronto, per quello che poteva esserlo lei, naturalmente.

    Aveva lavato tutti i vestitini col sapone di­sin­fet­tante, c'erano pannolini, biberon, salviettine, la cul­la che le aveva portato Ben e che Celeste aveva de­corato con dei coniglietti. Mancava solo Willow, ma l'indomani sa­rebbe finalmente arrivata.

    Le infermiere l'avevano praticamente cacciata dal reparto insistendo che si prendesse una giornata tut­ta per sé e minacciandola che l'avrebbero al­lon­ta­na­ta se si fosse fatta vedere. Quella sarebbe stata la sua ultima notte di sonno ininterrotto.

    I suoi genitori l'avevano accompagnata a casa e, dopo aver controllato che non avesse bisogno di niente, se ne erano andati. Sentendosi stranamente libera Ce­leste decise di andare a comprarsi una ri­vi­sta e s'in­camminò lungo la strada. O forse è solo una scusa per passare davanti alla nuova casa di Ben? Era stra­no essere all'aria aperta, avvolta dalla luce del sole e non da quella artificiale della nursery, così decise di godersi quella giornata.

    Indossava un paio di shorts di jeans e una ma­glietta bianca con lo scollo all'americana, tutti ve­sti­ti pre­ce­denti alla gravidanza, che ora le stavano un po' larghi. Ai piedi aveva sandaletti di pelle rossa e a mano a ma­no che procedeva apprezzava sempre di più il calore del sole sulle gambe nude anche se a­veva l'im­pres­sio­ne di aver dimenticato qualcosa. In­cominciò a con­trol­lare di aver preso le chiavi e il cellulare nel caso l'a­vessero chiamata dall'ospedale. Ma quello che le man­cava in realtà era Willow, sen­za di lei si sentiva sper­sa.

    La vita invece era andata avanti anche in sua as­senza: i fiori pendevano a grappoli dagli alberi, la baia era blu e luccicava al sole e a un tratto vide Ben che aveva attaccato la sua nuova barca all'auto.

    «Bella!» commentò Celeste girando intorno alla sua nuova creatura, «davvero fantastica.»

    «Temo di essermene innamorato» scherzò lui ac­carezzando il suo nuovo giocattolo. «Come sta Willow?»

    «Molto bene, troppo bene per stare ancora in o­spedale.»

    «Tutto pronto per domani?»

    «Secondo me sì!»

    «Sarai una mamma fantastica» la rassicurò.

    «Allora, hai deciso di provarla?» chiese Celeste indicando la barca. Non gli avrebbe chiesto di fare un giro, ma se lui glielo avesse offerto di nuovo non avrebbe risposto di no.

    «Sono appena rientrato. Ho fatto un'uscita con un amico perché non mi sento ancora del tutto sicuro.»

    Celeste sorrise per nascondere la delusione. «La rampa non è il posto più adatto per fare pratica» os­servò.

    «Infatti, io sono solo un principiante, ma è così bello andare per mare, me lo ero quasi scordato.»

    «Nell'insenatura c'è un'altra rampa di accesso» gli spiegò Celeste, «lì non hai bisogno di aiuto per met­tere la barca in acqua.»

    «Non mi dire che ci sei già stata?»

    «Un sacco di volte» sorrise lei, «quando io e papà eravamo ancora in buoni rapporti mi portava spesso con sé a pescare.»

    «Vuoi dire che sei una donna di mare e sai per­si­no pescare?»

    «No» rispose lei sorridendo, «ma sto pescando a­desso.»

    Ben ci mise un attimo a capire il gioco di parole, ma quando ci arrivò sorrise.

    «Allora andiamo.»

    Era il giorno ideale per provare una barca nuova. Il mare nella baia era calmo e c'era solo un filo di brezza che increspava la superficie dell'acqua. Per essere un principiante, Ben se la cavò abbastanza bene; mise la barca in mare, poi saltò in acqua per tenerla ferma mentre Celeste sedeva al suo posto di guida, proprio come faceva quando usciva con suo padre. Dopo aver parcheggiato l'auto a quattro ruote motrici, entrò in ac­qua e con l'aiuto di Ben salì in barca. Quando lui ac­ce­se il motore, sentire quel suono così familiare e amato la riportò ai tempi fe­li­ci di una volta. Il vento le scom­pigliava i capelli e le parve di respirare di nuovo dopo quelle orrende settimane.

    Ben la osservava notando la trasformazione avvenuta in lei. Aveva perso molto peso dopo la na­scita di Willow, il che era un chiaro segno di quanto avesse sofferto. Tutte quelle settimane in ospedale le avevano regalato un colorito malsano, ma ora l'a­ria di mare la stava rianimando e dava un po' di co­lore alle sue guance scavate. Quando si accorse che per dieci mi­nu­ti non aveva controllato il telefono, Ben seppe che la vecchia Celeste era tornata, anche se solo per qualche ora.

    Fermarono il motore e oziarono cullati dalle on­de. Poi Ben prese il cibo che aveva acquistato al vo­lo in una rosticceria e osservarono Melbourne che luccicava sotto gli ultimi raggi dorati del sole.

    L'indomani Willow sarebbe arrivata a casa e sem­brava che tutto finalmente filasse per il verso giu­sto.

    «Sei preoccupata per domani?» le chiese Ben.

    «Un po' spaventata ma pronta» ammise Celeste.

    «Sarai un'ottima madre» ripeté lui in tono sicuro.

    «Speriamo! Comunque tra poche ore la mia bam­bina sarà finalmente a casa.»

    Ben aprì il cartoccio del pollo al dragoncello con maionese che era buono come quello della prima volta e bevvero acqua gasata. Celeste si sentiva co­me so­spe­sa tra il passato e la sua nuova vita che sa­rebbe i­ni­zia­ta l'indomani.

    «Hai organizzato tutto per il trasporto?» si in­for­mò Ben.

    «Verranno i miei genitori, ma se vuoi passare da me nel pomeriggio troverai alcuni amici che ho in­vitato a cena... Pensavo di fare un piccolo bar­be­cue.»

    «Ma non potevi stare un po' tranquilla almeno il primo giorno?»

    «Ho fatto questa scelta» replicò Celeste con un lampo del vecchio impeto, «in modo da concentrarli tutti in una volta sola.»

    Sarebbe stata ora di rientrare, Ben riaccese il mo­tore mentre Celeste si era sdraiata sul fondo della piccola barca con i piedi a prua e ascoltava so­gnan­te lo sciabordio dell'acqua. Da prima che Willow nascesse, anzi da molto, molto prima non era mai stata così ri­lassata. Quando aprì gli occhi per fare partecipe Ben del suo benessere ogni rilassatezza sparì.

    Lui la stava osservando e quando lei aveva ria­perto gli occhi non aveva distolto lo sguardo ma a­veva continuato a fis­sar­la. Lei ricambiò lo sguardo di quei limpidi occhi verdi e continuarono a guar­darsi in silenzio, ricordando quell'unico bacio. Ce­le­ste in quell'istante capì che se non ci fosse stata Willow quella sera avrebbero fatto l'amore. Se non ci fosse stata Willow... era un'ipotesi che lei non vo­leva nemmeno provare a immaginare.

    Negli occhi di Ben c'era uno strano luccichio. Forse era dovuto alle ombre della sera che stava ca­lando o forse erano davvero lacrime perché sul suo viso era impresso qualcosa che sembrava rimpianto o forse era rabbia.

    Certo, se non ci fosse stata Willow ora sarebbero dei semplici colleghi. Se non ci fosse stata Willow non sarebbe mai e poi mai andata ad abitare proprio vicino a lui. In ogni caso non esisteva la possibilità che non ci fosse Willow e tantomeno quella che ci fosse qualcosa tra loro.

    «Pessimo tempismo, vero?» Celeste non stava scherzando perché lì in mare non c'era né pas­sato né futuro: solo loro due e le loro domande ir­ri­sol­te.

    «Infatti» confermò Ben che ci aveva già pensato da tempo.

    «Ciò significa che non sto diventando pazza e immagino qualcosa che non esiste?»

    «No, non stai impazzendo.» Si attorcigliò uno dei suoi pesanti riccioli intorno a un dito e avrebbe vo­luto raccontarle, sfogarsi, ma come? Sentiva ancora le rac­comandazioni del dottor Heat. Questo era il suo ul­ti­mo e unico giorno di spensieratezza e lui non voleva rovinarglielo con il suo immenso dolore, non poteva caricare questa giovane mamma con le sue paure per lei e per la sua bambina.

    «Semplicemente non posso farlo» disse lei.

    «Lo so.»

    «Te l'avevo detto fin dall'inizio.»

    «Infatti.»

    «Resteremo amici, però?» chiese Ben in tono in­certo, perché anche lui ne dubitava.

    «Non lo so.»

    Si baciarono: forse quello sarebbe stato il loro se­condo e ultimo bacio, ma sicuramente era il più dol­ce del mondo. Lui abbassò la testa e le sfiorò le lab­bra smentendo il luogo comune per cui gli uomini non piangono mai perché Celeste sentì chiaramente la traccia delle sue lacrime sulle guance. Era un ba­cio leggero, ma così profondamente mescolato con altri sentimenti, rimpianto e amore, da renderlo in­dimenticabile.

    Non dovette dirgli di riportarla a casa perché lui aveva già acceso il motore. Il ritorno fu normale, in ogni caso non si baciarono più.

    «Vuoi entrare un momento?» gli chiese quando furono di fronte al suo cancello.

    Sapeva esattamente quello che gli stava offrendo, lo sapeva perché l'aria tra loro era pesante per il de­siderio di cui era intrisa.

    «Celeste...» le nocche di Ben erano bianche, tanto violentemente stringeva il volante, «vai dentro.»

    «Solo per questa notte» lo implorò. Voleva solo un vero bacio di addio, era avida di qualcosa di più e cer­cava di convincersi che il mattino successivo sarebbe riuscita in qualche modo a cavarsela.

    Rifiutare era sicuramente il suo forte, ma questa volta era lei a essere rifiutata.

    «Buonanotte, Celeste» ripeté lui.

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
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