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Vicini di casa, vicini di cuore

di CAROL MARINELLI

Celeste: Il mio nuovo vicino di casa è davvero affascinante e oltretutto lavoriamo nello stesso posto. Ma adesso ho altro a cui pensare, devo assolutamente concentrarmi sulla mia vita. Forse Ben può rivelarsi un piacevole diversivo.
Ben: Un altro anno, un nuovo inizio, quello che mi ci vuole per dimenticare. Allora perché mi sento così nervoso? Forse sono solo agitato per il mio primo giorno di lavoro. E poi, ci mancava pure la strana attrazione che provo per Celeste. Possibile che uno come me abbia voglia di una relazione stabile?

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Quando aveva saputo di essere stato accettato co­me responsabile del Pronto Soccorso al Melbourne Bay View Hospital, Ben Richardson non aveva pro­va­to la tipica inquietudine di chi sta per iniziare un nuo­vo la­voro, ma piuttosto un leggero fastidio al pensiero di dover affrontare un'altra volta dei nuovi colleghi, un nuovo ambiente... un altro ancora.     

    Questo sarebbe stato il quarto incarico che ri­co­pri­va dopo la morte di Jennifer: tra poco sarebbero stati quattro anni e lui aspettava con terrore l'avvicinarsi di quel giorno, di quell'anniversario.

    Correva sulla spiaggia ancora deserta senza fare minimamente caso al tripudio di colori che ac­com­pa­gnava il sorgere del sole sulla baia di Port Phillip.

    Dopo la morte di Jennifer aveva resistito sei mesi, ma alla fine aveva dovuto cedere: non sarebbe mai più riuscito a esercitare la sua professione nello stesso ospedale dove aveva lavorato con lei, troppi erano i ricordi che evocavano in lui i luoghi più inaspettati, come la mensa o la saletta per lo staff dove erano so­liti ritrovarsi.

    Così aveva deciso di trasferirsi a Sydney.

    Il posto era fantastico, e anche i colleghi erano me­ravigliosi, ma il ricordo di Jennifer diventava in­so­ste­nibile ogni giorno di più, e così era ritornato a Mel­bo­urne, si era stabilito in un quartiere completamente diverso e si era rifugiato nell'affetto della famiglia e dei vecchi amici.

    Accelerò l'andatura della corsa: era stata una buona idea scegliere una casa sulla spiaggia per poter fare jogging ogni volta che il suo fisico vigoroso lo avesse richiesto, e la sua mente trovava conforto nella bel­lezza della natura circostante.

    Ed ecco laggiù, dove la costa s'incurvava leg­ger­mente, la casa vecchiotta e un po' trasandata su cui a­veva gettato l'occhio da un paio di settimane.

    Quando era arrivato a Melbourne per cercare una nuova abitazione, l'agente immobiliare a cui si era ri­volto gli aveva mostrato un tipico appartamento da scapolo, arioso e luminoso, con una grande terrazza da cui si godeva una vista incantevole sia sulla baia sia sulla città.

    «Sarebbe il luogo ideale per invitare gli amici per un cocktail» aveva commentato l'uomo e Ben sarebbe stato pronto a comprarlo quel giorno stesso quando, indugiando un attimo sul balcone, aveva notato la ca­sa accanto. Era decisamente vecchiotta e malandata: indiscutibilmente diversa dagli eleganti condominii schierati lungo la spiaggia.

    La casa si affacciava direttamente sul mare e il suo intonaco un po' scrostato contrastava piacevolmente con le superfici lucide e cromate dei condomini che le erano sorti tutt'intorno.

    Nel suo giardino un po' trascurato aveva persino intravvisto uno scivolo e un'altalena, ma quello che più lo aveva colpito era stato un motoscafo or­meg­gia­to sulla spiaggia. Un uomo sulla quarantina lo stava sciacquando con una pompa e quando aveva guardato in su aveva fatto un breve cenno di saluto all'agente immobiliare.

    «Arrivo tra poco, Doug» aveva urlato infatti l'a­gen­te che poi si era seduto a un tavolo e aveva estratto i documenti dalla valigetta.

    «Vuol dire che è sul mercato?» aveva chiesto Ben.

    «Scusi?»

    «La casa qui accanto... è in vendita?»

    «Non ancora» aveva risposto l'uomo con un sorriso evasivo, «ma la prego, dottor Richardson, si sieda.»

    «Intende dire che tra breve andrà sul mercato?» a­veva insistito Ben.

    «Può darsi, in ogni caso non corrisponde in nessun modo alle richieste che ha fatto lei. È una casa che richiede moltissima manutenzione, pensi che c'è ancora la cucina originale per non parlare poi del giardino... lo può vedere lei stesso, è una specie di giungla.»

    Ben non stava già più ascoltando e l'agente im­mo­biliare aveva avuto in quell'istante la netta percezione di ve­der sfumare una vendita. «Ma l'appartamento è un'altra cosa» aveva insistito, «c'è una manutenzione regolare, una palestra e persino una piccola piscina per gli in­quilini» aveva continuato, facendo leva su quelli che per lui e­rano i punti di forza di quel­l'ap­par­tamento. Ma si sba­gliava, quell'omone arruffato che si fregiava del titolo di medico non lo ascoltava più.

    Anzi, proprio in quell'istante, Ben si era reso conto che avere molto lavoro da fare sarebbe stato fan­ta­sti­co! C'erano un giardino in condizioni di­sa­stro­se e una vecchia casa da riparare da cima a fondo e poi magari anche una barca con cui esplorare la baia... cosa po­te­va esserci di meglio di un po' di lavoro ma­nuale per riempire il suo tempo libero? Aveva fatto un rapido paragone su come sarebbe stato abitare in quel­l'a­set­ti­co per quanto perfetto appartamento e aveva preso la sua de­cisione. Dopo tanto, troppo tempo Ben aveva i­niziato a pro­vare un po' di entusiasmo per qualcosa che non fosse il suo lavoro in ospedale. Così, invece di concludere la trattativa, aveva giocato d'azzardo.

    Aveva messo i suoi mobili in un deposito e af­fit­ta­to un pic­co­lo appartamento ammobiliato dall'altro la­to della stra­da, pronto a controllare quando quella ca­sa sarebbe stata messa in vendita. Nel frattempo il mercato im­mobiliare era crollato e si faceva fatica a vendere an­che gli appartamenti più lussuosi. I prezzi erano scesi di parecchie migliaia di dollari per qual­siasi tipo di ca­sa e forse quello poteva essere il mo­mento giusto o forse un segno del destino... chissà!

    Quel giorno, mentre faceva jogging come il solito, si riscosse, non riusciva a credere ai suoi occhi. IN VENDITA ALL'ASTA, recitava il cartello a lettere cu­bitali appeso al vecchio cancello.

     Ben sorrise compiaciuto: l'asta avrebbe avuto luo­go di lì a pochi giorni e durante il weekend sarebbe stato possibile visionare la casa. Tornando verso il suo piccolo appartamento, per la prima volta ap­prez­zò le sfumature del cielo all'alba. I gabbiani sem­bra­vano giocattoli, seduti immobili sulle acque calme del mare, mentre un cane, spuntato da chissà dove, aveva incominciato ad abbaiare per farli volare via. E a un tratto la vide. Era in piedi nell'acqua poco profonda dell'oceano, con l'acqua che le arrivava alle caviglie, le gambe allargate in una posizione innaturale e le mani protese verso il cielo. Restò in quella posizione per alcuni minuti, poi abbassò lentamente le braccia. Dopo poco ripeté lo stesso movimento.

    «Oddio!» pensò Ben che al Pronto Soccorso cre­de­va di averne già viste di tutti i colori. Si diresse verso di lei con un po' di esitazione e quando la ragazza si voltò, Ben si rese conto del suo avanzato stato di gra­vidanza, ma soprattutto del fatto che stava davvero male. Accelerò l'andatura e si accorse che stava u­scendo dall'acqua con un'espressione sofferente di­pin­ta in vol­to. Poi si accucciò con un'angolazione in­na­tu­rale, qua­si ripiegata su se stessa e Ben fu da lei in un attimo. La prima cosa che notò fu una massa di ric­cioli scuri che le nascondevano il volto e le parlò co­me se fosse capitato lì per caso.

    «Come stai?» le domandò preoccupato.

    «Bene» gemette lei alzando lo sguardo per fissarlo. Aveva dei meravigliosi occhi color ambra e in­dos­sa­va degli enormi orecchini d'argento. «Maledetto yoga» borbottò mostrando una schiera di denti in­cre­di­bilmente bianchi.

    «Hai le contrazioni?» le chiese lui sperando di non sembrare troppo invadente. «Sono un medico, mi chiamo Ben.»

    «Io sono Celeste e non ho nessuna contrazione, so­lo una fitta qui al fianco.»

    «Sicura?»

    «Certo!» Si alzò in piedi e trasalì cercando di na­scondere una nuova fitta. «Queste stupide teorie new-age!» borbottò.

    Ben non poté trattenere un sorriso.

    «Se avessi continuato a dar retta alla mia in­se­gnan­te avrei ucciso mio figlio e me stessa...» continuò lei.    Lui s'irrigidì e una volta di più rivisse quel momento, in quella spiaggia meravigliosa, invasa dalla luce del­l'alba. Sembrava che non fossero già passati quattro lunghi anni, troppi pensò.

    «Quindi vuol dire che stai bene» replicò Ben ac­cin­gendosi ad andarsene, mentre la ragazza si teneva il ventre rigonfio, «e che non si tratta di una con­tra­zio­ne.»

    «No» gli confermò lei mentre due lacrime le scen­devano lungo le guance.

    A quel punto Ben le mise una mano sul ventre e percepì chiaramente le contrazioni.

    «Io sto bene» continuava a ripetere lei, «credo solo che il bimbo non veda l'ora di nascere.»

    «Come sono le contrazioni? Sei solo all'inizio o le hai già da un pezzo?»

    «No, è il bimbo che si sta preparando per il suo grande giorno» rispose lei con un sorriso radioso, «sto bene, tranquillo.»

    «Sicura di star bene?» insistette lui.

    «Certo!»

    «Se diventano più forti e iniziano a...»

    «Diventare regolari... lo so, tranquillo!»

    Il sole stava per sorgere in tutto il suo splendore e lui poté vedere la sua pelle abbronzata e cosparsa di lentiggini e soprattutto il suo splendido sorriso.

    «In ogni caso, grazie di tutto.»

    «Ma figurati!»

    La ragazza si voltò e cominciò a camminare lungo la spiaggia nella sua stessa direzione e lui le lanciò un'occhiata per assicurarsi che stesse davvero bene. Sembrava tutto a posto, lei era vestita con un leggero paio di pantaloncini bianchi e con un top in tinta.

    «Non ti sto seguendo!» la rassicurò, «è che credo che stiamo andando nella stessa direzione.»

    «Dove sei diretto?»

    «Vivo in quel piccolo complesso laggiù in fondo.»

    «E da quando ci vivi?»

    «Da questo weekend.»

    «Ma significa che siamo vicini di casa, sono l'in­quilina dell'appartamento numero tre» sorrise lei. «Come ti ho già detto, mi chiamo Celeste, e tu?»

    «Ben Richardson e vivo al ventidue.»

    «Quindi sei nella zona più tranquilla» osservò lei con una punta d'invidia.

    «Come fai a dirlo? Questa notte non ho quasi chiu­so occhio tra musica, feste e liti...»

    «Quello non è nulla se paragonato ai miei vicini!»

    Giunsero a quello che era una parodia di con­do­mi­nio: una serie di monolocali costruiti come per caso. Sicuramente prima o poi qualcuno ne avrebbe fatto piazza pulita per creare un adorabile e lussuoso resort sul mare, ma per il momento l'unico vantaggio che a­vevano quelle costruzioni era l'accesso alla spiaggia, ed erano a­bi­tate da girovaghi in cerca di una so­lu­zio­ne più a­de­gua­ta come sicuramente era Celeste. Quan­do arrivarono davanti a una piccola striscia di terreno, con l'erba to­sata di fresco e piena di vasi di fiori non ci furono dubbi che si trattava di casa sua.

    «Grazie di tutto!» ripeté lei, «e se hai bisogno di qualsiasi cosa ricordati che io sono qui.»

    «Bene, così saprò a chi rivolgermi.»

    «Però ti avverto che sono stata messa a die­ta.»

    Lui rise di cuore e la salutò. Poi si avviò verso il suo monolocale domandandosi se questa volta la doc­cia avrebbe sputacchiato acqua calda o fredda.

    Sperava con tutto il cuore che l'appartamento di lei fosse in condizioni migliori del suo. Ma sapeva che era un'idea strampalata, e che sicuramente il suo pa­drone di casa le aveva fornito un arredamento simile a quello che aveva fornito a lui.

    Quando uscì dalla doccia sentì di nuovo i vicini che si accapigliavano e si rese conto che non ne po­te­va già più.

    Si preparò un caffè con molto zucchero.

    Lei non aveva nessun bisogno di stare a dieta. Era naturalmente prosperosa, ma forse dipendeva dal fat­to che era incinta. Suo malgrado ripensò a quel ventre arrotondato: forse era di oltre sette mesi e il glucosio non era nei parametri migliori. Cercò di non pensare a lei finché, passando con la sua auto, la vide mentre innaffiava i suoi girasoli e lo salutava con la mano.

    Lui ricambiò il saluto; in genere non amava in­trat­tenere rapporti con i vicini di casa, nemmeno per chiedere un po' di zucchero o per fare due chiac­chie­re.

    Anche in questo caso avrebbe tirato dritto, però proprio mentre lui passava Celeste arrossì, gli fece un altro breve cenno di saluto e non poté trattenersi dal pensare che quell'uomo era piuttosto attraente. Era molto alto, con gambe da giocatore di rugby e capelli un po' lunghi che gli ricadevano sulla fronte. Per non parlare dei suoi occhi verdi... Ma perché diavolo nes­suno dei medici con cui aveva lavorato aveva occhi di quel genere?

    Poi si trattenne, ricordandosi che aveva ven­ti­quat­tro anni e che di lì a poco sarebbe stata madre e che a­veva giurato di estromettere gli uomini dalla sua vita per al­meno i successivi dieci anni. Strano che per un attimo se ne fosse quasi scordata: si era dimenticata persino di essere incinta e per un attimo si era sentita una ra­gazza normale. Del resto non c'era condizione più nor­male di quella di aspettare un bimbo, ma quel­la mat­ti­na aveva fatto un incontro straordinario, con un uomo estremamente sexy. Celeste sapeva che du­rante la gra­vidanza si entrava in una specie di blackout or­mo­na­le, e per sei lunghi mesi era stato ef­fet­ti­va­mente così, ma adesso doveva veramente pre­oc­cu­par­si perché qualcosa nel suo equilibrio ormonale si era rotto, e lei si stava perdutamente innamorando di un uomo!

           Un tempestivo calcio della sua creatura la riportò rapidamente alla realtà e le ricordò che lei non era la candidata ideale per una storia sentimentale.

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
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