Sei già registrato? Entra nella tua area personale

Vicini di casa, vicini di cuore

di CAROL MARINELLI

Celeste: Il mio nuovo vicino di casa è davvero affascinante e oltretutto lavoriamo nello stesso posto. Ma adesso ho altro a cui pensare, devo assolutamente concentrarmi sulla mia vita. Forse Ben può rivelarsi un piacevole diversivo.
Ben: Un altro anno, un nuovo inizio, quello che mi ci vuole per dimenticare. Allora perché mi sento così nervoso? Forse sono solo agitato per il mio primo giorno di lavoro. E poi, ci mancava pure la strana attrazione che provo per Celeste. Possibile che uno come me abbia voglia di una relazione stabile?

12

«Ben Richardson.» Celeste non aveva sentito lo squi­l­lo del telefono, ma solo la voce di Ben quando aveva risposto. «Non sono io il medico di turno questo weekend, ma la dottoressa Belinda Hamilton. L'ho vi­sta qualche ora fa in Pronto Soccorso.»

    Celeste sentì le lenzuola spostarsi perché Ben si sta­va alzando, poi udì scorrere l'acqua della doccia. Un attimo dopo lui si stava allacciando i jeans. «Devo fa­re un salto in ospedale.»

    «Problemi?»

    «Ci dovrebbe essere Belinda di turno, ma non ri­sponde al cercapersone.» Si chinò a baciarla ra­pi­da­mente e dopo un attimo era andato.

    Dopo poco Willow si fece sentire e Celeste scese al piano di sotto per prepararle il biberon, poi la prese in braccio e la portò con sé nel letto per allattarla. Per la prima volta la bimba fece il pasto notturno senza stril­lare e agitarsi come il solito. Mangiò in pochi minuti e piombò di nuovo addormentata. Celeste la cullò un at­timo prima di rimetterla nella carrozzina, ignorando la voce di sua madre che le avrebbe detto di non tenerla con sé nel letto.

    E questa era la scena che Ben si aspettava di trovare quando sarebbe tornato a casa. Dopo aver risolto il problema in ospedale, si era fermato in un distributore che aveva il minimarket aperto e aveva fatto scorte di preservativi. Mentre guidava verso casa, la vita gli era sembrata finalmente semplice e lui si era sentito di nuovo l'uomo di una volta. Poi si era fermato a casa di Belinda, certo di trovarla lì. Bussò e suonò senza a­ve­re risposta e risentì una morsa di paura attanagliarlo, esattamente come quattro anni prima, quando Jen non gli aveva aperto la porta. La casa era silenziosa e lui ebbe la net­ta sensazione che ci fosse qualche pro­ble­ma.    «Be­lin­da!» gridò, «se non mi apri chiamo la po­li­zia.»

    Finalmente la porta si aprì. «Scusami, non ce l'ho proprio fatta a restare in ospedale» gli confessò con gli occhi gonfi di pianto.

    «Cosa è successo?» le chiese spaventato.

    «Non potresti sostituirmi tu?»

    «Certo.»

    «Puoi telefonare tu al centralino e dire di avvisare te invece di me se c'è un'emergenza?»

    «Lo faccio subito, ma tu dimmi cosa diavolo sta succedendo.»

    «Mi sono presa un'infezione gastrointestinale.»

    «Questa non me la dai a bere!»

    «Ti prego, Ben...»

    Dato che era viva e stava abbastanza bene, tutto il resto non era decisamente affar suo. Tuttavia il cuore gli batteva ancora forte mentre entrava in casa sua e sentiva ancora in bocca il sapore metallico della paura. Bevve un bicchier d'acqua e poi un altro prima di sa­li­re le scale.

    E lì le vide, tutte e due sul letto, rannicchiate come due gattini. Dormivano ed era un'immagine dolce, perfetta e innocente. Ma solo poco prima lui aveva rivissuto il passato, riprovato lo stesso terrore mentre bussava e Belinda non dava segni di sé e forse quello era il segno che lui aveva chiesto a Jen. Forse era un suo ammonimento. Celeste, mezza addormentata si stiracchiò e vide Ben seduto sul bordo del letto con una strana espressione dipinta in volto.

    «Com'è andata?» chiese.

    «C'era un bel movimento e ho dovuto risolvere tut­to il lavoro arretrato dal momento che Belinda non era reperibile.»

    «Non è da lei» osservò Celeste, «sei sicuro che stia bene?»

    «Abbastanza. Sono passato a casa sua mentre tor­na­vo indietro e mi ha detto di avere una forma virale che le ha colpito l'intestino e lo stomaco, ma sospetto che...» Si fermò. La vita privata di Belinda era una co­sa squisitamente sua e non avrebbe mai spettegolato su una collega. «Be', non importa.»

    In quel preciso istante Celeste ebbe il sospetto di a­vere già perso quell'ascendente che aveva appena con­quistato.

    «Riporto Willow nella carrozzina.» Si aspettava che Ben l'aiutasse, prendendo la piccola in braccio, ma lui se ne guardò bene così lei andò da sola a riporla e, sic­come con lo spostamento si era un po' svegliata, in­co­minciò a spingere la carrozzella avanti e indietro. Pur­troppo non ci furono risultati e dovette riportarla in un angolo della camera di Ben mentre lui si spogliava e si rimetteva a letto. Quando finalmente Willow si fu cal­mata e lei lo raggiunse nel letto, si accorse che Ben dormiva profondamente. O perlomeno faceva finta di dormire.

    Guardò le sue chiavi, il telefono e il sacchetto che aveva comprato al market della stazione di servizio immaginandone il contenuto, ma aveva il pre­sen­ti­mento che non sarebbero più serviti.

    Si domandò che cosa potesse essere successo in quel breve lasso di tempo per cambiare in quel modo la situazione, ma poi si disse che probabilmente la sua era solo immaginazione e che stava esagerando. Forse lui stava davvero dormendo e non fingeva af­fat­to. Re­stò ad ammirare lo spettacolo che si godeva dal letto che era a dir poco magico e avrebbe dovuto tran­qui­l­lizzarla, ma purtroppo non funzionò.

    Avevano deciso insieme di prendere le cose con calma, di uscire a cena e andare al cinema e anche il sesso non sarebbe dovuto essere un problema. Per quanto fosse inesperta, Celeste sapeva che quello che aveva provato con Ben era molto, molto di più di quello che lei avrebbe mai potuto immaginare. Quindi cosa c'era di sbagliato tra loro? Lei non era certo una ragazza fredda e sofisticata, anzi avrebbe voluto solo acciambellarsi vicino al suo corpo maschio e sve­gliar­si tra le sue braccia. Tuttavia non lo fece e resistette alla tentazione di avvicinarsi a lui.

    Non era il momento giusto per farsi un'idea chiara sul loro rapporto, così si alzò, andò a controllare Willow che dormiva profondamente e decise di ap­pro­fit­tare di quei momenti di tranquillità per farsi una doc­cia.

    Lui se ne stava immobile, incerto sulla decisione da prendere.

    Sapeva perfettamente che quello che era successo la notte precedente l'aveva scombussolata, come del re­sto aveva confuso anche lui.

    Con Willow che aveva dormito nella stanza con lo­ro non aveva chiuso occhio. Ma non erano i piccoli versi che faceva la neonata nel sonno che lo avevano tenuto sveglio, bensì la trepidazione che avvertiva in Celeste.

    Attraversò la stanza per controllare che respirasse, come ovviamente stava facendo, ma come percepì la sua presenza Willow spalancò gli occhi e gli sorrise.

    Ben faticò non poco a restituirle il sorriso e tornò a letto, ma ormai lei lo aveva visto e incominciò a pian­gere.

    Oddio! Sperò che Celeste non ci mettesse troppo a fare quella benedetta doccia: scese in cucina a pre­pa­rare il caffè per loro e il biberon per la piccola e men­tre sentiva che urlava sempre più forte, digrignò i den­ti domandandosi se Celeste sarebbe finalmente uscita dalla doccia. Tornò su posando le tazze e il biberon, ma l'acqua della doccia continuava a scorrere... pos­si­bile che non sentisse il pianto di Willow?

    Guardò nella carrozzina, prese il ciucciotto e glielo infilò in bocca, ma Willow lo sputò disgustata fis­san­dolo negli occhi. Le scendevano gros­si lacrimoni e sembrava che lo implorasse di prenderla in braccio. Così lui fece finta di essere in ospedale, so­lo che lì non si trattava di lavoro. Voleva provare a prenderla, allungò persino le mani e poi si ritrasse i­ni­ziando a spingere la carrozzina avanti e indietro spe­rando che Celeste arrivasse in fretta.

    Perché diavolo doveva essere così terrorizzato da una neonata? Camminò su e giù nella stanza deciso ad affrontare quel problema una volta per tutte e farla fi­nita con quella sua fobia.

    Poi sentì il suono inconfondibile di un messaggino che arrivava sul telefono di Celeste. Sbirciò il mit­ten­te: Dean! Non lesse il testo, ma sentì solo il gelo del­l'ombra di un grosso uccello che sarebbe piombato dal cielo e li avrebbe colpiti in qualsiasi momento.

    «Willow!» Tutta gocciolante e avvolta in un a­sciu­gamano Celeste andò dritta alla carrozzina prendendo la figlia in braccio. «Ma da quanto è che piange?» gli chiese inviperita, «ha il viso paonazzo!»

    «Stavo per venire ad avvisarti» le rispose lui stan­camente.

    «Ma non potevi prenderla semplicemente in brac­cio?»

    «Stavo preparando il caffè e il suo biberon» rispose Ben sulla difensiva.

    Il che suonava logico e ragionevole, pensò Celeste, ma Willow voleva solo essere presa in braccio da qualcuno.

    «Puoi tenerla un momento mentre mi vesto?» gli chiese in tono di sfida.

    «Devo andare anch'io a fare la doccia e a vestirmi» mentì lui, «mi hanno appena chiamato dall'ospedale.»

    «Ben...» Per avere un carattere solitamente così passionale, Celeste parlò con voce estremamente cal­ma. «Non ti sto chiedendo di darle il latte o di cam­biarle il pannolino, ma solo di tenerla in braccio due minuti.»

    «Scusa, ma devo prepararmi alla svelta.»

    «Ben?» Non riusciva a crederci, non capiva perché si comportasse così. «Non ti sto chiedendo...»

    «Guarda» la interruppe lui, «non si tratta di un mio...» Non finì la frase e quella mattina Celeste si tra­sformò nella madre che voleva essere.

    «Intendi dire che non è un tuo problema?» finì per lui.

    Non era esattamente quello che stava per dire, ma annuì facendole credere così.

    «Santo cielo!» esclamò Celeste con una risata priva di allegria, «sono davvero brava a scegliermi le ca­na­glie, non trovi?»

    Lui tacque e Celeste proseguì.

    «Ben, dimmi sinceramente una cosa. Quanto len­ta­mente vuoi che il nostro rapporto progredisca? Dob­biamo aspettare che Willow vada a scuola per poter venire a vivere con te?» disse caustica.

    «Il padre di Willow ti ha appena mandato un mes­saggino.»

    «Non dare a lui la colpa di tutto questo!» replicò Celeste, «in fondo tu sei stato latitante fino a ieri se­ra.» Vedendo che continuava a non rispondere gli chiese di nuovo: «Quanto lentamente vuoi gestire le cose tra noi?».

    «Non lo so.»

    Celeste guardò sua figlia, e seppe che per lei era la persona più importante del mondo.

    «Non le farò passare nessuna di queste umiliazioni» rispose con voce gelida. Willow incominciò a in­ner­vosirsi. Anche se il posto migliore del mondo era tra le braccia della sua mamma, lei voleva mangiare. «A­vrei dovuto capirlo dall'inizio; in fondo sei sempre sta­to sincero e hai sempre detto che non volevi bambini, invece io ho una figlia.»

    Il suo telefono fece un altro suono e Celeste di­gri­gnò i denti. Cosa diavolo voleva Dean?

    «È meglio che tu legga i messaggi di suo padre» le consigliò Ben. Lei aveva ragione, Willow meritava qualcuno migliore di lui e l'unico modo per risolvere la questione era dare un taglio alla loro relazione. «In fondo la responsabilità è solo sua.»

    «Errore!» replicò Celeste, sentendo di odiarlo con tutto il cuore, «lei è mia e di nessun altro.»

    Lui non rispose e si diresse verso la doc­cia.

    «Magari sei contento di sbarazzarti di me e di Willow in un colpo solo!» gli gridò dietro, «anche se non hai idea di quello che ti stai perdendo.»

    Ben si chiuse la porta del bagno alle spalle sa­pendo, proprio perché conosceva bene Celeste, che quan­do sarebbe uscito dalla doccia lei se ne sarebbe già an­da­ta. Aprì il getto della doccia al massimo e pregò che se ne andasse via in fretta perché se lo scroscio del­l'ac­qua riusciva a coprire il pianto di Willow, non riu­sciva a lavare le sue lacrime.

    Non era Willow il suo problema; sedette sul pa­vi­mento della doccia e si prese la testa tra le mani.

    Il problema era che lui voleva la sua bambina!

 

    Era un dolore che non aveva mai provato. Era stato il rifiuto non di lei, cosa che poteva sopportare, ma il rifiuto totale nei confronti di sua figlia. E il dolore che ne provava era pungente come un aculeo e non ac­cen­nava a placarsi. Era quello il prezzo che doveva pa­ga­re per essere madre? Che l'uomo della sua vita, a cui aveva donato tutta se stessa l'abbandonasse così fa­cil­mente?

    «Quanto resterai fuori?» le chiese sua madre in pie­di sulla porta con Willow in braccio.

    «Non lo so» ribatté Celeste. Dopo giorni e giorni in cui l'avevano tormentata perché parlasse col padre della bambina, ora che doveva incontrarlo sua madre le stava chiedendo per quanto tempo sarebbe stata fuori con lui! Possibile che non capisse come sarebbe stato duro l'incontro che doveva affrontare? «Co­mun­que ho lasciato i biberon pronti in frigorifero.»

    «Verrai a riprenderti Willow, vero?»

    Quella domanda non meritava nemmeno una ri­spo­sta.

    «Forse dovresti portarla con te...» aggiunse sua ma­dre.

    «Mamma!» questa volta non era una risposta sgar­bata, ma una preghiera, che la smettesse una buona volta di torturarla, di preoccuparsi, di agitarsi. E a un tratto Celeste ebbe la risposta alla domanda che la an­gustiava ormai da settimane, anzi da mesi.

    Erano passate sette settimane da quando era di­ven­tata madre e ora aveva capito che quel suo pre­oc­cu­parsi e angustiarsi non sarebbe passato con il tra­scor­rere del tempo ma sarebbe durato per sempre, e­sat­ta­mente come ancora adesso sua madre si angustiava per lei. Così quando le rispose la sua voce era gentile, più calma e ragionevole. «Non voglio mettere Willow in esposizione davanti a lui» le spiegò, «non ha nem­meno chiesto di vederla, vado solo a sentire cosa vuo­le.»

    «E tu cosa vuoi?»

    «Non lo so» ammise Celeste, «forse una specie di padre per Willow.»

    «E se lui ti rivolesse con sé?» Era la prima vera conversazione che avevano da anni, e finalmente Ce­leste poté rispondere con sincerità, senza più barriere, senza difese.

    «Mamma, quell'uomo mi ha già perso tanto tempo fa. Ho accettato di incontrarlo solo per il bene di Willow.»

    «Stai attenta, tesoro» le disse Rita, e Celeste annuì.

    «Non preoccuparti, o meglio preoccupati se proprio non puoi farne a meno, ma ti assicuro che non serve. Qualunque cosa dirà quell'uomo spregevole, io e Willow saremo al sicuro.»

 

    Rivedendolo, Celeste ebbe l'impressione che fosse invecchiato e che fosse diventato un po' più triste.

 

    Non provò più quel capogiro che la prendeva quan­do lui entrava nell'aula, non arrossì, né pendeva più dalle sue labbra.

    Era cresciuta e vedeva Dean per quello che era: un omuncolo che aveva approfittato della sua ingenuità, di quella che era stata semplicemente una cotta men­tre, alla sua età, avrebbe dovuto starle alla larga.

    Se c'erano delle regole c'era un motivo ben preciso.

    Fu un incontro breve e piuttosto freddo. Lui voleva rassicurazioni che la sua vita perfetta non corresse il rischio di essere rovinata dall'esistenza di Willow. Te­meva che un giorno si sarebbe presentata alla sua por­ta, ma lei fu ben felice di rassicurarlo.

    «Cosa dirai a Willow?» le chiese in tono diffidente.

    «La verità» gli rispose guardandolo negli occhi, «magari l'addolcirò un poco sorvolando sul fatto che volevi darmi i soldi per abortire. E quando sarà ab­ba­stanza grande deciderà lei cosa fare di quella verità.»

    Non c'era proprio più niente da dire, così Celeste si alzò e uscì dal caffè facendo un grosso sospiro di sol­lievo.

           Poi, un passo dopo l'altro, incominciò a camminare verso il futuro, verso il resto della sua vita.

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
< Vai a Capitolo 11 Vai a Capitolo 13 >