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Il tesoro nascosto

di SOPHIA JAMES

Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?

7

Asher era ubriaco.

   Lo sapeva perché il ritratto di Melanie, davanti ai suoi occhi, ondeggiava come se fosse un mare in tempesta.

   Odiava quel ritratto perché gli ricordava la felicità perduta, che non avrebbe mai potuto ritrovare.

   Non avrebbe mai dovuto baciare Emma Seaton o, almeno, non avrebbe mai dovuto baciarla in riva al mare, con il profumo di salsedine e il rumore delle onde. Era pericolosa, una ladra e una bugiarda, una minaccia per lui e per la sua famiglia.

   Se ne sarebbe dovuto liberare subito, dimenticando i suoi occhi turchesi da sirena e tornando alla propria vita di quieto dolore, di silenziosi e mai sopiti rimpianti.

   Eppure non poteva.

   Per la prima volta, dopo un tempo così lungo che sembrava infinito, si era sentito vivo stringen­dola fra le braccia e baciandola.

   Come se la vita gli riservasse ancora qualcosa, come se non gli avesse chiuso per sempre tutte le porte.

   Non era questione di semplice desiderio fisico, anche se i loro due corpi si erano infuocati per un semplice bacio.

   Quel fuoco aveva portato via il freddo che da anni imprigionava le sue ossa e gli aveva lasciato dentro un calore strano, una pace e una sicurezza che non avevano nulla a che fare con lui.

   «Sapevo che ti avrei trovato qui e anche che saresti stato ubriaco» gli disse Taris con evidente biasimo, entrando nella stanza.

   «Oggi ho baciato Emma» gli confessò Asher con una sincerità che non gli era usuale. «Per un istante, uno solo, mi sono dimenticato di Melanie.»

   Aveva bisogno di sapere che cosa ne pensasse suo fratello.

   Anzi, aveva bisogno di ricevere la sua assoluzione.

   Taris si irrigidì, ma Asher si sentì ugualmente sollevato per la confessione.

   «Emma è una bellissima donna e tua moglie è morta da così tanto tempo» lo confortò il fratello. «Perché non dovresti ammirarla?»

   «Perché sono convinto che lei e il suo presunto cugino Liam Kingston siano la stessa persona. Perché stanotte era in biblioteca, alla ricerca di qualcosa da rubare.»

   «Lady Emma? Il cugino sarebbe il coraggioso gentiluomo che ha salvato Lucinda da Eaton? Come fai a sapere che sono la stessa persona?»

   «Ha un tatuaggio sul seno destro.»

   «Un tatuaggio?»

   «Una piccola farfalla azzurra.»

   Taris cominciò a ridere. «Hai visto anche il seno del cugino? Asher, che cosa stai dicendo?»

   «Voglio che resti qui a Falder. Voglio proteggerla...»

   Taris non rise più.

   «Ha sofferto molto... Qualcuno le ha fatto del male...» biascicò Asher cercando di alzarsi e inciampando nel basso sgabello davanti alla sua poltrona.

   Riuscì a ritrovare l'equilibrio appoggiandosi a un tavolino.

   «Ha paura, glielo leggo negli occhi, lo sento dalla sua voce» proseguì.

   La pendola suonò le tre.

   Ancora due ore prima dell'alba, quando avrebbe potuto finalmente dormire. Asher guardò i monconi delle sue dita come se li vedesse per la prima volta.

   «Non ci sono, ma le sento come se fossero ancora attaccate alla mano» mormorò. «Un tempo ero felice di averle perse, era come se una piccola parte di me fosse andata con Melanie. Avrei voluto seguirla con tutto il mio corpo, ma adesso non più. Ora vorrei restare qui con Emma.»

   Asher guardò fuori dalla finestra senza tende, tuttavia vide solo la compatta oscurità della notte.

   Odiava la mancanza di controllo che stava sperimentando, soprattutto davanti a suo fratello Taris.

   «Melanie avrebbe voluto che tu fossi ancora felice.»

   «Davvero? Ricordo che una volta, eravamo in Scozia, per poco non cadde in un fiume e mi disse che, se mi fosse successo qualcosa, non sarebbe mai più potuta essere felice.»

   Taris non rispose.

   Asher notò che si era tolto gli occhiali e che guardava intorno a sé con gli occhi della memoria. Era tutto quello che Beau Sandford gli aveva lasciato.

   «Vai a dormire, Taris» gli consigliò.

   «No.»

   Taris non se ne andò lasciandolo ai suoi demoni così familiari.

   Rimase seduto su una sedia, muto testimone di quanto stava succedendo nell'animo del fratello, incapace di aiutarlo in alcun modo.

 

   Dopo una breve passeggiata mattutina, Emerald tornò verso Falder Castle. Mentre saliva i gradini davanti al portone, notò che c'era il fuoco acceso nel salottino azzurro accanto alla biblioteca.

   Se Wellingham era già alzato, avrebbe parlato con lui di quello che era successo il giorno prima.

   Non sarebbe dovuta restare sola con lui, non avrebbe dovuto baciarlo, non riusciva a credere che lo avesse fatto.

   Era sempre stata molto prudente, molto circospetta con il sesso opposto.

   Era meglio fermarsi, finché era ancora in tempo, o se ne sarebbe pentita per il resto della vita. Adesso gliel'avrebbe detto.

   Emerald spalancò la porta della stanza e vide il duca appoggiato al muro, con la bottiglia in mano.

   Taris era seduto sulla poltrona, come una sentinella addormentata.

   «Mi dispiace» disse ad Asher.

   Le dispiaceva davvero di vederlo così stanco, con le profonde occhiaie che gli segnavano il viso e che lo facevano sembrare un fantasma dissoluto.

   «Vi dispiace per quello che è successo ieri? La prossima volta forse andrà meglio» fu il parere di Asher.

   Era un sollievo sentirlo parlare con tanta semplicità del loro bacio in riva al mare, come se non fosse una colpa imperdonabile.

   Dovette trattenersi per non aiutarlo, quando vide che cercava di camminare ma si teneva a malapena in piedi.

   «Siete riuscito a dormire stanotte, almeno un po'?»

   Lui scosse il capo ed Emerald si chiese se quell'uomo dormisse mai. Lo aveva sempre visto sveglio, a ogni ora della notte e del giorno, come se il sonno gli fosse sconosciuto.

   Sempre con il bicchiere in mano e lo sguardo di un angelo dannato.

   «Mio padre aveva un rimedio per i postumi dell'alcol» gli fece sapere.

   «Un uomo dalle innumerevoli risorse» commentò lui con malcelata ironia, andando a rimettere sulle ginocchia di suo fratello Taris la coperta che era caduta a terra.

   Di che cosa avevano parlato, in piena notte, prima che Taris cadesse addormentato? Che cosa li aveva tenuti lontani dai loro comodi letti? Quali segreti condividevano gli eredi dei Wellingham?

   «Quel rimedio di cui stavate parlando... Me lo potreste preparare?» le domandò a un tratto, cogliendola di sorpresa.

   «Sì, ma ho bisogno di alcuni ingredienti.»

   «Quali ingredienti?»

   «Spezie, zucchero e latte.»

   «Andiamo in cucina» le propose lui, ma quando aprì la porta dovette appoggiarsi allo stipite per non cadere a terra.

   La cucina di Falder era enorme e molto ben fornita.

   All'incirca dieci persone di età e aspetto diversi stavano già lavorando ai fornelli, un profumo stuzzicante permeava l'aria.

   «Vostra Grazia?» Una donna si asciugò le mani nel grembiule e si fece avanti. «Desiderate qualcosa?»

   «Non io, Mrs. Tonner, ma Lady Emma» rispose lui accennando alla sua ospite. «Vorrebbe preparare una pozione.»

   «Avrei bisogno di uova fresche, latte e issopo. Anche di una radice di mandragola, se l'avete.»

   Mrs. Tonner sorrise e allora Emerald si rese conto che la ricetta della pozione di suo padre non era nota solo nei Caraibi.

   Entro breve sarebbe stata nota anche a tutte le persone presenti, perché sembrava che non avessero la minima voglia di lasciarli soli. Anzi, in cucina c'era un silenzio assoluto mentre lei mescolava i diversi ingredienti davanti ai loro occhi attenti e curiosi.

   «Sembrate averlo fatto molto spesso» commentò Asher, notando la sua abilità e il fatto che non si fermasse nemmeno un secondo per pensare a quello che avrebbe dovuto fare subito dopo.

   «Avevamo un parroco con molta propensione per l'alcol» gli spiegò, mentre in realtà la propensione per i liquori era stata una caratteristica di suo padre e delle sue molte amanti.

   L'ebbrezza aveva reso Beau scorbutico e rissoso, mentre non aveva quell'effetto su Asher. Anzi, adesso che era ubriaco sembrava più propenso a confidarsi e a starla ad ascoltare.

   «Ve la ricordate a memoria?»

   «È semplice» minimizzò Emerald sorridendo. «Quando è pronta, dovete berla tutta d'un fiato.»

   «E deve puzzare in questo modo orribile?» obiettò lui non appena la giovane gli mise in mano il bicchiere.

   «Il liquore ad alta gradazione richiede un antidoto della stessa forza» ribatté Emerald.

   Asher non bevve e allora lei gli prese di mano il bicchiere e ne assaggiò un sorso.

   «Vedete? Non è velenosa. Anzi, direi che il sapore è abbastanza gradevole» aggiunse, sopprimendo a fatica un brivido di repulsione.

   Si augurò che lui non l'avesse notato.

   Quando il duca finì di bere, aveva la fronte e il labbro superiore imperlati di sudore. «Gradevole?» le chiese convinto che l'avesse preso in giro. «Adesso vi farò vedere io qualcosa di davvero gradevole.»

   La portò in una stanza vicina, le cui finestre si aprivano su un angolo di giardino coltivato con cura, solo che le piante erano in grandi vasi invece che nel terreno. Era un bellissimo giardino d'inverno con molte piante esotiche.

   «Il contributo di mia madre a Falder. È tradizione che le mogli dei Wellingham abbiano qualche abilità particolare» le spiegò. «Mia nonna era un'ottima cavallerizza e sua madre una musicista di valore. La notte, nei corridoi dell'ala occidentale, si può ancora sentire il suo pianoforte che suona i brani che amava tanto.»

   «Qui a Falder Castle ci sono i fantasmi?»

   «I fantasmi sono quasi obbligatori in case come questa, ma io a Falder non ne ho mai visto uno. Mi hanno detto che si sente suonare il pianoforte, altro non so...»

   «Quali erano le abilità particolari di vostra moglie?» si informò Emerald, che poi si sarebbe morsa la lingua, vedendo che lui trasaliva alla do­manda.

   «Mia moglie era una valida musicista ed era soprattutto brava a fare la moglie» replicò lui con freddezza.

   «Era molto bella.»

   «Sì» ammise Asher prendendo da un vaso una gerbera arancione.

   «Ed è per questo che non riuscite più a dormire?»

   Il duca non parlava mai con nessuno di Melanie, a parte suo fratello Taris. Con Emma invece era così facile discorrere di lei, anche dopo una notte come quella.

   «Non ero a casa quando morì. Non ero a casa nemmeno per il suo funerale e invece avrei dovuto esserci» si rammaricò.

   «Anche mio fratello è morto quando io non c'ero» aggiunse Emma. «Aveva solo tre anni.»

   Asher, per la prima volta da quando la conosceva, ebbe l'impressione che gli stesse parlando di qualcuno della sua famiglia che non fosse stato inventato sul momento.

   «Avevo sei anni, ma gli facevo da madre. Lo cullavo la sera per farlo addormentare. Lo portavo sempre con me, il mio nome era stata la prima parola che aveva detto.»

   «Com'è morto?»

   Lei impallidì e Asher si pentì di averglielo chiesto.

   «Quanto tempo fa è mancata vostra moglie?» gli domandò, invece di rispondergli.

   «Sono passati tre anni.»

   «Mi avevano detto che il tempo rende più sopportabile il dolore» proseguì Emerald, «invece mi sembra che non cambi niente. Però devo dire che, con il passare degli anni, ricordo più volentieri le cose belle e dimentico quelle brutte. Di James, questo era il nome di mio fratello, adesso ricordo i suoi riccioli biondi, non il modo in cui è morto.»

   «Non parlo mai con nessuno di mia moglie Melanie.»

   «Fate male. Bisognerebbe alleggerire il cuore di qualche peso, per poterci fare entrare ancora un po' di gioia.»

   «Lo diceva vostro padre?» si informò Asher.

   Emerald sorrise e lui, per la prima volta, notò che c'erano molti buchi nelle sue orecchie. Una intera fila di piccoli buchi in tutti e due i lobi.

   Asher immaginò orecchini sfavillanti e tintinnanti allineati uno dopo l'altro e pensò che cosa avrebbe provato a baciarli, a sfiorarli con la lingua. Dopo il bacio del giorno prima, eccolo di nuovo eccitato come un giovane stallone, pronto a fare l'amore. Con la punta di un dito sfiorò quei piccoli buchi, sperando che lei si ribellasse a tanta confidenza. Invece Emerald si fece più vicina mentre il suo cuore batteva forte e le guance avvampavano. Ecco il guaio, lei era così arrendevole, così pronta a fare l'amore che Asher prendeva subito fuoco.

   Sperò che Emma non lo avesse notato, che non si rendesse conto del potere che aveva su di lui e che solo un'altra donna aveva avuto.

   «Asher!»

   La voce di sua madre, che arrivava sulla sedia a rotelle spinta dalla cameriera personale.

   Alice Wellingham non lo aveva più sorpreso a corteggiare una donna in giardino da quando aveva diciotto anni ed ecco che tornava a sorprenderlo quando lui ne aveva trentuno.

   Asher cercò di ricomporsi, pur sapendo che a sua madre non sfuggiva nulla.

   «Hai un aspetto terribile, Asher» gli disse severamente Alice, ma lui notò sul suo viso un'espressione particolare che conosceva molto bene.

   Alice aveva quell'espressione tutte le volte che lo vedeva con una donna che sarebbe potuta diventare sua moglie.

   «Buongiorno, mamma.»

   «I domestici mi hanno detto che, da quando sei qui, non chiudi occhio e non fai che bere» proseguì lei. «Finirai per ucciderti se continui in questo modo, e non voglio pensare a che cosa succederebbe a Falder e alla nostra famiglia se questo accadesse. In una settimana hai bevuto più brandy di quanto ne bevi di solito in un mese.»

   «Se dovessi morire, mio fratello prenderebbe il mio posto. Non sono senza eredi» rispose lui con una certa crudeltà. Non voleva discutere di quel­l'argomento con sua madre davanti a Emma. «Co­munque lo ritengo un avvenimento piuttosto improbabile.»

   «Improbabile?» ripeté scettica Alice Wellingham.

   «Mamma, non ti ho ancora presentato Lady Emma Seaton» le disse, per parlare di altro. «È la nipote della Contessa di Haversham.»

   «Anni fa conoscevo abbastanza bene la famiglia di Lady Miriam» commentò Alice, lasciando di sasso Emerald.

   «Davvero?»

   «Vostra zia aveva un fratello, se ben ricordo. Si chiamava Beauvedere. L'avete mai incontrato, Lady Emma?»

   «Non credo.»

   «Meglio così. Aveva gli occhi più strani che avessi mai visto, dicevano che riuscisse ad ammaliare le donne con uno sguardo. Ashborne diceva sempre che avrebbe fatto una brutta fine... Mi dispiace, noi vecchi parliamo sempre del passato, forse perché ci è più facile ricordare quello che è successo trent'anni fa piuttosto che quello che abbiamo fatto ieri. Invece di perdere tempo con i ricordi, dovrei chiedervi se vi trovate bene qui a Falder. Quale camera vi hanno dato? Quella gialla?»

   «Sì.»

   «Giocate a whist?»

   «Molto male, temo.»

   «Meglio così, mia sorella gioca con me tutte le sere, ma lei è molto brava e io perdo sempre. Adesso è andata a Londra per una settimana, a occuparsi di un mio nipote appena arrivato dall'America.»

   Asher sbadigliò. Forse era merito della pozione di Emma se cominciava ad avere sonno.

   L'idea lo rallegrò perché non vedeva l'ora di riposarsi un po'.

   Mentre sua madre chiamava la cameriera personale e si faceva portare in camera sua, ad Asher venne in mente un'altra cosa.

   «La pozione che mi avete dato... È anche un sonnifero?»

   «Uno dei più potenti.»

   «Quanto potente?» si preoccupò il duca.

   «Abbastanza potente da farvi dormire per molte ore di seguito.»

   La risata con cui finì la frase inquietò Asher. Le sue palpebre diventarono pesanti come piom­bo e lui si sentì sprofondare in un sonno senza sogni, da cui si risvegliò solo venti ore dopo.

 

   L'alba del giorno seguente stava sorgendo quando Asher riaprì gli occhi nella propria stanza.

   Lady Emma Seaton era seduta accanto al suo letto e stava leggendo un famoso libro di Mary Wollstonecraft che trattava dell'emancipazione delle donne. Anche il titolo del libro lo preoccupò, gli sembrò pericoloso nelle sue mani.

   «Scusatemi» gli disse Emerald, «non sarei dovuta rimanere qui, ma ero un po' preoccupata per voi. Sono stata io a preparare la pozione e mi sarebbe dispiaciuto se avessi sbagliato la quantità degli ingredienti. Sono rimasta per controllare che tutto andasse bene.»

   Asher si guardò intorno per vedere se mancasse qualcosa. Fu istintivo da parte sua perché ormai sapeva che era una ladra. Inoltre, parlando con Lady Flora il giorno successivo al ricevimento, aveva scoperto che Lady Emma le aveva fatto credere di essere una sua vecchia amica. Era stato lui, fin dal primo momento, il vero obiettivo della giovane donna che in quel momento gli stava accanto.

   «Fareste fortuna se vendeste questa pozione contro l'insonnia» le disse. «Conosco moltissime persone dell'alta società che non riescono a dormire e ve la pagherebbero a peso d'oro.»

   «Come vi sentite, Vostra Grazia?»

   «Meglio.»

   «Però non sembra che stiate meglio.»

   «Come vi sembra che stia?»

   «Ho l'impressione che non siate contento di aver potuto dormire» considerò Lady Emma.

   «Non capisco.»

   «È come se vi avessi fatto un dono che non sentite di meritare.»

   «Quale dono?»

   «Un lungo sonno ristoratore.»

   «Solo Dio può sapere che cosa avete fatto, mentre riposavo.»

   «Voi, naturalmente, siete convinto che ne abbia approfittato per derubarvi.»

   «Che cosa state cercando? Del denaro?» le do­mandò lui, dando un'occhiata al suo vestito.

   «Forse il mio abbigliamento non è all'ultima moda, ma vi assicuro che dipende più dalla mancanza di desiderio di essere elegante che dalla carenza di denaro.»

   «Non vi piacerebbe un vestito nuovo?»

   «Ci sono molte altre cose che preferirei acquistare, che lo crediate o no.»

   «Per esempio?»

   «Qualche bel libro.»

   Asher si mise a ridere.

   «Come le opere di Mary Wollstonecraft sull'emancipazione della donna?»

   «Perché no?»

   «La mia biblioteca è a vostra disposizione. Sono sicuro che vi troverete volumi più interessanti per voi.»

   Dopo il lungo riposo sembrava molto più giovane del giorno prima.

   Gli occhi erano vivaci, il sorriso accattivante.

   «Quando vi sentirete meglio e avrete mangiato qualcosa, allora potremo discutere dell'emancipazione femminile» gli promise Emerald.

   «Vedremo» rispose il Duca di Carisbrook senza impegnarsi troppo.

   Poi, come se volesse sfuggire a ogni ulteriore discussione, prese il cuscino e se lo mise sul viso.

  Emerald si alzò e uscì dalla stanza per lasciarlo riposare in pace e da solo. Aveva fatto tutto il possibile per aiutarlo, ma Asher non voleva essere aiutato.

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
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