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Il tesoro nascosto

di SOPHIA JAMES

Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?

1

Londra, maggio 1822
Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, se ne stava in un angolo della sala da ballo insieme al suo ospite, Lord Jack Henshaw, e guardava una donna che sedeva da sola vicino alla pedana dell'orchestra.
    «Chi è, Jack?» chiese cercando di non sembrare troppo interessato.
    In realtà, era davvero incuriosito perché capitava di rado di vedere una donna di tale bellezza se¬dere da sola a un ballo, vestita con un abito senza pretese, ma con tutta l'aria di divertirsi ugualmente.
    Anche i capelli, una massa di riccioli dorati, e-rano insolitamente corti.
    «È Lady Emma Seaton, la nipote della Contessa di Haversham. È arrivata a Londra sei settimane fa e, da allora, tutti i giovanotti della capitale hanno cercato di farle la corte, ma senza ottenere alcun risultato.»
    «È arrivata a Londra da dove?»
    «Credo che venga dalla campagna. Non deve mai essere andata da un parrucchiere degno di questo nome. Non ho mai visto una simile accon-ciatura.»
    Asher dovette convenire che i suoi riccioli biondi trattenuti a stento da qualche forcina non erano esattamente all'ultimo grido, ma non le stavano affatto male. Avevano dei riflessi rossastri su una base del colore del grano maturo tendente all'oro puro.
    Era raro che qualcuno lo interessasse o lo stu-pisse, ma quella giovane donna che si vestiva e si pettinava senza stile ci era riuscita.
    Quale altra dama avrebbe cenato con i guanti di seta, leccandoli quando si sporcavano della mar-mellata dei pasticcini?
    E quale si sarebbe riempita il piatto di tutto quanto veniva servito, come se temesse di morire di fame?
    Poteva darsi che, nel paesino in campagna dov'era nata e vissuta fino ad allora, il cibo fosse scarso e che non riuscisse a credere a tanto ben di Dio a portata di mano.
    Asher vide che molti la fissavano e la cosa lo irritò.
    Gli sembrava di averla sempre conosciuta, ep-pure non avrebbe saputo dire di che colore erano i suoi occhi, che non riusciva a scorgere a quella distanza.
    A un certo punto Asher si alzò e se ne andò, maledicendo la Contessa di Haversham che man-dava in giro la nipote vestita in quel modo, senza elargirle il minimo consiglio in fatto di eleganza e di buone maniere.
    La sala era affollata di gente che parlava ad alta voce, impedendole di sentire quello che stava suonando il quartetto d'archi.
    Emerald chiuse gli occhi per concentrarsi sulla melodia.
    Lì in Inghilterra la gente non sembrava apprez-zare la buona musica, non come in Giamaica, al-meno.
    Avrebbe voluto avere con sé la sua armonica per suonare qualcosa di più caldo e ritmato di quel motivo inglese, troppo monotono e compassato, qualcosa che la riportasse ai Caraibi almeno per un attimo.
    No, non doveva pensare alla Giamaica o sarebbe stato peggio. Emerald drizzò la schiena e si guardò intorno, cercando di osservare tutto quello che c'era intorno a lei.
    Adesso viveva in Inghilterra, le nostalgie sa-rebbero state non solo inutili, ma anche dannose.
    Prese il calice che aveva davanti e bevve un al-tro sorso di champagne. L'alcol faceva diminuire la sua ansia e le acuiva i sensi, affinandole la vista, l'udito e l'odorato.
    Avrebbe voluto liberarsi di quei vestiti in modo che ogni poro della sua pelle potesse sentire il sole, il vento o la pioggia.
    Avrebbe voluto tuffarsi nelle onde azzurre di Montego Bay, camminare scalza sulla sabbia calda delle sue spiagge e dimenticare il resto del mondo.
    In quel momento sua zia Miriam arrivò e si se-dette sulla sedia libera davanti a lei, senza dire una parola.
    «Va tutto bene?» chiese preoccupata Emerald.
    Il pallore sul volto della zia le diceva l'esatto contrario.
    «Lui è qui, Emmie» le rispose la contessa.
    «Chi, zia Miriam?»
    «Asher Wellingham.»
    Era venuto, finalmente. Emerald provò un senso di esaltazione. Di panico, di rabbia e di paura.
    Da settimane lo aspettava, ormai aveva i nervi a fior di pelle ed era sempre più difficile tenere a bada i molti corteggiatori che si facevano avanti come lupi affamati.
    Lui l'aveva vista? Si sarebbe ricordato di lei?, si chiese preoccupata.
    Pregò mentalmente che non si fosse reso conto di chi era.
    «Dov'è, zia?» domandò in un sussurro appena udibile.
    «Era in quell'angolo vicino alla porta. Prima di uscire ti stava guardando con molto interesse. Poi è rientrato e ora continua a fissarti.»
    Emerald compì uno strenuo sforzo per non vol-tarsi.
    «Credi che abbia dei sospetti?»
    «Se li avesse, non perderebbe tempo e ti farebbe rinchiudere in prigione come figlia di un traditore» fu la risposta.
    «Potrebbe farlo?»
    «Ti stupiresti di che cosa può fare un aristocra-tico inglese, che si ritiene al di sopra di ogni regola morale» affermò Miriam.
    «Allora dobbiamo portare a termine la nostra missione nel più breve tempo possibile. Dimmi, zia Miriam... No, non voltarti così in fretta... Dimmi, ha un bastone con sé?»
    La contessa guardò con circospezione verso Asher Wellingham.
    «No, nessun bastone. Ha in mano un bicchiere di vino, vino bianco.»
    Sarebbe stato troppo facile, se avesse avuto il bastone.
    Emerald cercò di non lasciare trasparire la pro-pria delusione.
    «Se non altro, non può ricordarsi di questo ve-stito» commentò soltanto.
    Lo aveva comperato in un mercatino di abiti usati e, data la sua cronica mancanza di fondi, sperava di non macchiarlo e di non rovinarlo in nessun modo.
    «Stai attenta a quello che fai, Emerald. Questo è il Duca di Carisbrook, non uno dei tanti avven-turieri che frequentavi a Kingston o a Port Anto-nio» la mise in guardia la zia.
    «Quando Beau voleva conoscere qualcuno, mandava avanti me. Mi bastava un piccolo prete-sto per scambiare due parole con uno sconosciuto e farmi invitare al suo tavolo.»
    «Sii cauta, Emerald. Il Duca di Carisbrook non è un uomo qualsiasi. Non puoi fare la sfrontata con uno come lui o rischi di rovinare ogni cosa. Non sottovalutarlo, sappiamo che purtroppo lo ha già fatto tuo padre.»
    Emerald, con un sospiro, si chinò a slacciare la fibbia della sua scarpa sinistra.
    Tutti i particolari dovevano essere perfetti.
    Suo padre Beau, con il passare del tempo, aveva perso la sua precisione e purtroppo se ne erano viste le conseguenze.
    Emerald si alzò e andò verso Asher Wellingham. Inciampò al momento giusto e lo urtò e¬mettendo un acuto gridolino che sembrava asso¬lutamente naturale.
    Tutto sarebbe stato perfetto se l'orlo del suo ve-stito non si fosse impigliato nel tacco delle scar-pette da ballo e se l'uomo che era seduto accanto al duca fosse rimasto seduto.
    Invece si alzò ed Emerald, per evitarlo, perse davvero l'equilibrio e si lasciò cadere fra le braccia di Asher Wellingham, sperando che lui riu¬scisse a sostenerla.
    Asher la sorresse come se fosse una piuma, sol-levandola fra le braccia con la massima facilità.
    Sentì il proprio seno contro la giacca del genti-luomo, vide nei suoi occhi del colore del brandy i riflessi dorati del desiderio.
    Poi lui la sollevò e la portò in un piccolo salotto adiacente alla sala da ballo. Qui la posò delica-tamente su un divano.
    «Siete svenuta» le disse, con una voce resa roca dal desiderio che non riusciva a dissimulare.
    Con i suoi capelli scuri e quegli occhi dorati, il Duca di Carisbrook era così bello da essere indi-menticabile.
    Ed Emerald, infatti, non avrebbe mai potuto scordare l'uomo che aveva dato la caccia a suo padre per tre oceani, fino a quando non lo aveva raggiunto e ucciso!
    «Mi dispiace» sussurrò, cercando di sembrare imbarazzata. Lo sforzo per nascondere il dolore e l'ira al ricordo della morte di Beau era enorme.
    Per fortuna il ventaglio era ancora legato al suo polso da un nastro.
    Lo aprì e cominciò ad agitarlo per sviare l'at-tenzione del duca, come le aveva insegnato zia Mi-riam.
    «Mi dispiace davvero. Dev'essere stato il caldo o forse sono scivolata... O forse...»
    La zia le aveva anche insegnato a non esagerare con le parole, soprattutto con gli inglesi.
    Una scusa poteva andare bene, ma tre giustifi-cazioni erano decisamente eccessive.
    «Sarei caduta, se non mi aveste soccorsa. Vi sarò eternamente grata» aggiunse.
    Che fatica essere sempre grata o dispiaciuta per qualcosa!
    Le donne inglesi non avevano molta scelta, purtroppo, quando avevano a che fare con gli uo-mini.
    «Dov'è mia zia?» chiese guardandosi intorno.
    «Credo che sia andata a prendere uno scialle per voi.»
    La mano del Duca di Carisbrook si soffermò sul suo polso, per sentire come palpitava.
    Emerald quasi scattò in piedi e ritrasse il braccio, poi riuscì a controllarsi.
    «Non credo che sarebbe saggio alzarsi così pre-sto» le consigliò Asher. «Vostra zia arriverà subi-to.»
    «Non so che cosa mi sia successo» riprese a scusarsi Emerald, rimettendosi a farsi aria con il ventaglio. «Di solito non sono così goffa.»
    Con la massima disinvoltura alzò la gonna e finse di scoprire solo allora che la fibbia di una scarpa era slacciata.
    «Ora capisco» affermò, e in quel momento ar-rivò la zia Miriam accompagnata da Lord Hen-shaw.
    «Eccoti lo scialle, mia cara. È meglio che ti co-pri» le suggerì, gettandoglielo sulle spalle e av-volgendoglielo intorno.
    Emerald non aspettava altro che il momento di alzarsi da quel divano per potersi allontanare dal Duca di Carisbrook.
    Le era troppo vicino, gli occhi dell'uomo scru-tavano il suo volto e il suo corpo in un modo che la metteva profondamente a disagio.
    Asher Wellingham era il suo nemico giurato, l'assassino di suo padre, non doveva dimenticarlo.
    Non avrebbe dovuto essere su quel divano, ac-canto a lei, e guardarla in quel modo che le faceva ribollire il sangue.
    Ancora una volta, desiderò fuggire lontano da lì, in un luogo dove avrebbe potuto lanciarsi in acqua e nuotare, per ripulirsi dalle sensazioni che lui le procurava.
    «Spero che non ci saranno pettegolezzi» ag-giunse.
    «Sono certo che non ce ne saranno, Lady Em-ma. Comunque, potrete sempre contare su di me, qualunque cosa accada» rispose galante Asher.
    «Come siete gentile, Vostra Grazia. Mia madre diceva sempre che il valore di una persona si giu-dica da come si comporta nei momenti difficili.»
    «Vostra madre deve essere molto saggia, Lady Emma.»
    «Purtroppo è morta quando ero ancora bambi-na, è stato mio padre ad allevarmi.»
    «Mi hanno detto che venite dalla provincia. Da quale contea, esattamente?»
    «Da Knutsford, nel Cheshire.»
    Non era del tutto una bugia perché una volta era stata in quel paese, da bambina. Lì sua madre aveva raccolto un delphinium azzurro e lo aveva messo nel ciondolo che Emerald portava al collo anche in quel momento, un piccolo fiore azzurro che il tempo aveva scolorito.
    «Cheshire? Il vostro accento non mi sembra del Cheshire» obiettò il duca.
    Un problema che Emerald non si era posta e che non sapeva risolvere.
    Era troppo ignorante di accenti e di contee della provincia inglese, rischiava di smascherarsi stupidamente.
    Cercò con lo sguardo l'aiuto di sua zia Miriam e, così facendo, gettò all'indietro lo scialle, il cui lembo colpì un piccolo piedistallo che si trovava accanto al divano. Su di questo era collocato uno squisito vaso di porcellana cinese, che finì a terra in mille pezzi.
    «Dio mio! Che cosa ho fatto!» esclamò coster-nata, quindi fece per alzarsi a raccogliere i cocci, ma per fortuna sua zia la fermò in tempo.
    «Emma, lascia perdere. Ci penseranno i dome-stici» le consigliò in tono di rimprovero.
    Un altro passo falso.
    Gli aristocratici inglesi non si preoccupavano mai di avere rotto qualcosa e c'era sempre qualcun altro che doveva ripulire.
    «Era un vaso senza alcun valore» si affrettò a dirle Lord Henshaw, mentendo spudoratamente, perché perfino Emerald aveva capito che quel de-lizioso vasetto dipinto a mano doveva valere una piccola fortuna.
    Il Duca di Carisbrook sembrò reagire male al suo imbarazzo, come se qualche sospetto comin-ciasse a sfiorarlo.
    Emerald imprecò mentalmente.
    C'era voluto un mese per riuscire ad avvicinarlo e adesso rischiava di rovinare tutto in pochi minuti di goffaggine!
    In quel periodo aveva speso quasi tutto il denaro che aveva con sé, non poteva permettersi di finire tutti i fondi.
    Non era riuscita nemmeno a vedere il bastone che stava cercando e che le avrebbe consentito di risolvere tutti i suoi problemi, permettendole di tornare in Giamaica e di vivere felice, dimentica finalmente del passato e del resto del mondo.
    «Vi farò accompagnare a casa dalla mia car-rozza» le propose il Duca di Carisbrook.
    «Siete molto gentile. Vi prometto che la riavrete al più presto» gli promise Emerald.
    Il duca la guardò in un modo che le fece desi-derare di essere vestita e pettinata come una delle dame dell'alta società che lui era abituato a fre-quentare.
    «Auguro a entrambe buona serata» concluse Asher, prima si alzarsi e di andarsene. E solo allora lei si accorse che zoppicava leggermente.
    Ecco la ragione del bastone che stava cercando, ma che lui non aveva con sé quella sera.
    Un bastone di ebano e di avorio, incastonato di pietre preziose, che un tempo era stato di suo pa-dre Beau e che nascondeva un tesoro, una mappa su cui sperava di riuscire a mettere le mani.
    Anzi, su cui doveva mettere assolutamente le mani se voleva cancellare tutte le sue preoccupa-zioni e quelle di sua zia, che non diventava di certo più giovane con il passare degli anni e che si meritava una vecchiaia serena e agiata, dopo tutto quello che aveva dovuto sopportare per colpa del fratello.
    Dopo aver messo le mani sul bastone, l'Inghil-terra avrebbe rappresentato solo un lontano ricor-do.
    Sarebbero partite alla prima alta marea verso il sole dei Caraibi, per non tornare più indietro. Ma prima dovevano trovare il bastone del Duca di Carisbrook.
    La zia l'aiutò ad alzarsi dal divano ed Emerald si appoggiò al suo braccio. Insieme a lei uscì dalla stanza con passo malfermo, cercando di non in-ciampare ancora nell'orlo del vestito. Due volte nella stessa serata sarebbe stato troppo.
    Non c'era tempo da perdere, pensò Emerald. Quella sera stessa sarebbe andata a cercare il ba-stone e la mappa, accompagnata da Azziz e da Toro. Avrebbero seguito la carrozza di Wellin-gham.
    Era stato Azziz a sentire, dodici settimane prima, in una delle taverne di Kingston, che il Duca di Carisbrook era stato visto girare per Londra con un bastone da passeggio di ebano e avorio.
    Il bastone di Beau, di cui favoleggiavano i suoi uomini da anni, nel quale suo padre aveva nasco-sto la mappa che portava dritto al tesoro.
    Se il duca cominciava ad avere dei sospetti, come le era sembrato poco prima, non c'era asso-lutamente da indugiare.
    Prolungare anche solo di qualche giorno la loro permanenza in Inghilterra poteva essere terribil-mente pericolosa e rendere inutile tutto il difficile lavoro che avevano compiuto fino a quel momen-to, con tanto rischio e tanta fatica.
    Mettere al più presto le mani sul bastone era tutto quello che dovevano fare.
    Poi avrebbero approfittato della prima marea per lasciare Londra e l'Inghilterra e tornare nella loro terra di origine.
    Il sole caldo della Giamaica e denaro a suffi-cienza per godersi la vita e per far sparire per sempre le proprie tracce. Chi poteva chiedere di più?

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