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Il tesoro nascosto

di SOPHIA JAMES

Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?

4

Asher incontrò di nuovo Lady Emma Seaton la sera seguente alla festa del vescovo di Kingseat.

   Sebbene fosse stato invitato, non ci era andato volentieri e avrebbe preferito rimanersene a casa. Ma il vescovo, George Leary, era stato un buon amico di suo padre, mentre sua moglie Flora era una donna gentile e dotata di una sensibilità non comune.

   Lady Emma indossava i soliti guanti, ma questa volta erano almeno stati lavati.

   Il vestito era invece fuori moda e sbiadito come il precedente, ma in un salone affollato di belle donne eleganti la giovane non sembrava meno sicura di sé di nessuna delle dame presenti.

   Il livido sulla guancia era meno visibile del giorno prima, anzi, sembrava quasi svanito.

   «Lady Emma, vi trovo molto bene» la salutò Asher.

   «Siete gentile, Vostra Grazia» rispose lei bevendo un sorso dal suo bicchiere di orzata. «Lady Flora mi aveva detto che sarebbe stata una piccola festa fra amici, ma devo aver capito male.»

   «Quaranta o cinquanta persone non sono nulla» ribatté lui. «A Falder, a cena, ne invitiamo tre volte tante.»

   Gli occhi di Lady Emma erano davvero turchesi, ma c'era dell'ombretto del colore del mare sulle sue palpebre.

   «La mia famiglia aveva abitudini molto sempli­ci» gli spiegò lei. «Mio padre era religioso, molto religioso. Non amava feste e ricevimenti perché riteneva che il tempo impiegato nei divertimenti fosse sprecato, in quanto sottratto alla preghiera.»

   «Un uomo devoto?»

   «Molto devoto, come tutta la nostra famiglia, del resto.»

   «Siete cattolici?»

   «Cattolici?»

   «Qual è la chiesa che frequentate qui a Londra?»

   La domanda sorprese talmente Emerald che le cadde di mano il ventaglio.

   Asher si chinò a raccoglierlo e lei fece lo stesso, rivelandogli senza volerlo che non indossava nulla sotto il vestito.

   Solo per un attimo il suo seno, giovane e bello, si offrì alla vista di Asher, poi svanì fra le pieghe dell'abito mentre lei si rialzava.

   Buon Dio! Erano a casa di un vescovo e quella donna non indossava assolutamente nulla sotto il vestito! La cosa eccitò Asher a un punto tale che dovette sopprimere ogni altro pensiero nel tentativo di tenere a bada i propri sensi.

   Stava ancora cercando di calmarsi, quando una donna della cui compagnia aveva goduto in passato, Charlotte Withers, si avvicinò a lui e fece un commento sullo svenimento di Lady Emma di due sere prima, senza accorgersi che l'interessata era proprio lì.

   «Spero di non avervi offeso» aggiunse poi, rendendosi conto di avere fatto una figuraccia. «Non mi ero accorta di voi, non intendevo in nessun modo criticarvi. Vi siete rimessa dalla brutta caduta?» le domandò.

   «Adesso sto benissimo, vi ringrazio per il vostro gentile interessamento» fu la risposta ironica di Lady Emma Seaton.

   «Avete uno strano accento» notò allora Char­lotte. «Da dove venite?»

   «Mia madre era francese.»

   Una risposta che non spiegava nulla, considerò Asher.

   Ancora una volta Lady Emma sfuggiva a ogni classificazione.

   «Allora è vostro padre a essere imparentato con la Contessa di Haversham?»

   «Sì. È morto l'anno scorso di influenza, dopo una lunga agonia. Ha sofferto moltissimo, spero di non dover mai più vedere qualcuno morire co­me lui.»

   «Charlotte Withers è una nota ficcanaso e una pettegola» la mise in guardia Asher mentre Char­lotte guardava altrove. «Tutto quello che le direte diventerà pubblico in un batter d'occhio, quindi non fatele mai alcuna confidenza se volete avere dei segreti.»

   Era un consiglio d'amico o stava soltanto scherzando?

   Emerald avrebbe voluto stringergli la mano e chiedergli se stava cercando davvero di aiutarla o se voleva solo divertirsi alle sue spalle.

   Lì a Londra non era facile distinguere gli amici dai nemici né chi cercava di prenderla in giro da chi le offriva consigli e protezione.

   Nella capitale si sentiva come un pesce fuor d'acqua, un'esperienza insolita per chi, come lei, amava tanto il mare.

   Però non le era sfuggito il modo in cui lui aveva notato il pizzo consunto del suo vestito o il pessimo stato dei guanti. Non aveva visto biasimo nei suoi occhi, solo compassione e comprensione.

   «Segreti? Non ho segreti» gli mentì.

   «No? Eppure so che non siete venuta a Londra dalla campagna, come avevate detto, ma dalla Giamaica.»

   «È vero» confermò lei con prontezza.

   «Mi avevate mentito?»

   «No, Vostra Grazia. Vivevo davvero in campagna, ma sono arrivata a Londra dopo aver compiuto un viaggio ai Caraibi, dove mio padre aveva alcuni possedimenti che mi ha lasciato in eredità. Sono dovuta andare oltreoceano per sistemare i suoi affari.»

   «Vostro padre era uno studioso?»

   «Uno studioso? Che cosa intendete dire?» gli domandò lei, per evitare di rispondergli subito.

   Per fortuna intervenne Lord Henshaw.

   «Lady Emma? Stasera vi sentite un po' meglio?»

   «Sì, molto meglio. Grazie, milord.»

   Gli inglesi potevano parlare per ore senza dire niente, anzi nascondendo tutto quello che non volevano dire.

   «Hai sentito della brutta avventura capitata a Stephen Eaton, Asher?» chiese Henshaw, rivolto al duca.

   «No, che cosa gli è successo?»

   «L'altra notte era sui moli del Tamigi ed è stato aggredito e derubato. Gli hanno dato un colpo in testa e portato via tutto il suo denaro.»

   «Davvero? Eaton dice di essere stato derubato?»

   «Siamo arrivati al punto che un gentiluomo non può andare in giro per Londra, alla sera, senza rischiare di venire assalito e spogliato di ogni suo avere» commentò Jack. «Che cosa ci faceva in una zona così malfamata, a quell'ora di notte?» aggiunse poi.

   «Me lo domando anch'io» borbottò Asher.

   «Ho visto sua madre, stamattina. Mi ha raccon­tato che gli hanno portato via l'orologio, la pistola e un anello di diamanti che era un ricordo di famiglia. Pensa che aveva lasciato il mio ballo solo un'ora prima. La madre mi ha detto che era sconvolto e che gli ci vorranno dei mesi per riprendersi. Conta di andare all'estero, non c'è niente di meglio di un bel viaggio per dimenticare simili, spiacevoli incidenti.»

   «Mi sembra una buona idea. Se rivedi sua madre, dille che sono molto rattristato per il furto e che spero che Stephen si riprenda al più presto» affermò Asher in tono gelido.

   «Lo farò. Tua sorella sa già quello che gli è successo?»

   «Mia sorella?»

   «Miss Lucinda. L'ho vista spesso danzare con lui e pensavo che fossero molto amici...» La frase rimase in sospeso.

   Emerald dedusse che il gentiluomo avesse ca­pito tutto, ma che ritenesse che non era né il momento né il luogo di parlarne.

   Vide che lanciava una rapida occhiata a Char­lotte Withers prima di cambiare discorso.

   «Mia sorella maggiore sperava di andare a fare visita ad Annabelle Graveson il mese prossimo, Asher. Sai come sta?» riprese Jack, cambiando argomento.

   «Benissimo, per quanto ne so. Conoscerete i Graveson a Falder questo fine settimana, Lady Emma.»

   «Sono vostri parenti, Vostra Grazia?»

   «No. Annabelle Graveson era sposata con un amico di mio padre. Quando questi morì, mio padre mi chiese di occuparmi degli affari della vedova e del figlio.»

   «Il defunto Duca di Carisbrook era un filantropo e Asher ha ereditato la sua propensione ad aiutare il prossimo» commentò Jack con un sorriso.

   Asher non fece commenti, ma Emerald ebbe l'impressione che non avesse apprezzato i modi un po' ironici dell'amico.

   C'era una donna bruna, molto bella, che non gli toglieva gli occhi di dosso, ma il duca sembrava non badarle.

   «Credo che Eaton stia usando la storia della rapina per alleggerirsi la coscienza dai sensi di colpa, Lady Emma. Ditemi, vostro cugino è una persona sincera?» le chiese Asher.

   «Mio cugino? I dieci comandamenti sono stati la base della nostra educazione fin dalla più tenera infanzia» rispose lei, ben sapendo di mentire in un modo spudorato.

   «Voi non dite mai bugie?»

   «Mio padre mi ha sempre insegnato il valore della verità.»

   Le mani di Emerald andarono automaticamente al ciondolo che aveva al collo. Lo tenne fra le dita per qualche attimo, provocando la curiosità del duca.

   «È un gioiello di famiglia?»

   «Apparteneva a mia madre.»

   Smise di giocherellarci, sperando che lui cambiasse argomento di conversazione.

   «Vostra madre era francese?»

   «Scusate?»

   «Non avete detto che vostra madre era francese?»

   «Sì, certo.»

   Perché aveva mentito senza alcuna necessità? Avrebbe dovuto imparare da tempo che ogni bugia rischiava di venire scoperta, perciò era sempre meglio dirne il meno possibile.

   Il duca le fece una domanda semplicissima, ma in francese.

   Emerald capì soltanto che stava parlando del nord e del sud e, non sapendo che cosa rispondere, si limitò a dire: «Oui», sperando che potesse andare bene.

   Il Duca di Carisbrook sorrise in maniera indecifrabile, ma non fece commenti. Le aveva chiesto se sua madre veniva dal nord o dal sud della Francia e lei, con quella risposta inconcludente, si era tradita senza rendersene conto.

   «Per vostra madre la sincerità era importante come per voi, Lady Emma?»

   «Naturalmente, Vostra Grazia.»

   Lo sguardo di Asher si spostò sul suo vestito. La stoffa era così leggera e il corpetto così aderente che si intravedevano i capezzoli.

   Avrebbe dovuto mettere qualcosa sotto il vestito, si rammaricò Emerald, accorgendosi di essere troppo poco coperta, ma si stava così bene senza biancheria!

   «È consolante incontrare una donna con principi morali così solidi» commentò il duca, cercando di non suonare sarcastico.

   «Lo considero un complimento, Vostra Grazia.»

   Forse era riuscita a non arrossire fino alla radice dei capelli, si augurò Emerald.

   Lady Flora, la moglie del vescovo, che era seduta con il marito a un tavolo vicino, sorrise e fece una domanda al duca.

   «Ho sentito che fra poco la vostra nuova nave sarà varata, Vostra Grazia. Come l'avete chiamata?»

   «Melanie.»

   Ci furono sorrisi di approvazione.

   Chi era Melanie?, si chiese Emerald.

   Una donna che aveva amato, probabilmente, perché un uomo non dava a una nave il nome di una donna che non avesse avuto un grande peso nella sua vita.

   Il vescovo di Kingseat alzò il bicchiere per brindare.

   «Alla Melanie, allora. Che sia all'altezza di colei che le ha dato il nome, per grazia e bellezza.»

   Una donna, dunque, bella e affascinante.

   Asher si era rabbuiato dopo quel brindisi e anche Emma divenne pensierosa. Fu quindi molto contenta quando cambiarono argomento di con­versazione e cominciarono a parlare dei nuovi balli alla moda.

               
         
 
       
 
       
 
         

 

   Emerald, appoggiata allo stipite della portafinestra che dava sul balcone, spiava in silenzio Asher che sedeva dall'altra parte della stanza insieme alla bella donna dalla chioma nera e dagli occhi verdi.

   Era pettinata in una maniera raffinata ed Emerald non poté fare a meno di notarlo.

   Si passò una mano fra i capelli, desiderando di potersi permettere un parrucchiere.

   Due delle invitate, dietro di lei, stavano parlando del duca.

   «Claire, sarebbe troppo sconveniente se alzassimo il bicchiere per brindare alla sua salute, la prima volta che guarda ancora da questa parte?» chiese una.

   Claire rise.

   «Non oseresti mai farlo. Che cosa penserebbe di noi?»

   «Ho sentito dire che il mese prossimo partirà per l'India. Speriamo che non incontri il fantasma del pirata Beau Sandford e che torni in Inghilterra sano e salvo.»

   A Emerald fece uno strano effetto sentire all'improvviso il nome di suo padre sulla bocca di un'estranea, quando meno se l'era aspettato.

   «Lady Emma? Potreste uscire un attimo sul balcone insieme a me?» le chiese il duca apparso improvvisamente al suo fianco, facendola trasalire.

   Più che una richiesta, le era sembrato un ordine, ma l'arroganza del Duca di Carisbrook era leggendaria.

   Il balcone si affacciava sul giardino e molti de­gli ospiti del vescovo erano in piedi davanti alle portefinestre per prendere il fresco della sera.

   Emerald ignorò il braccio che Asher le offriva e uscì da sola, fermandosi ad aspettarlo vicino alla ringhiera.

   «Mia sorella Lucinda mi aveva dato una cosa per vostro cugino Liam, ieri sera. Quando ho visto che eravate qui, ho mandato un mio servitore a prenderla a casa, per potervela consegnare» le spiegò, tirando fuori di tasca una lettera. «Credo che sia un biglietto di ringraziamento per Mr. Kingston. Lucinda è rimasta profondamente com­mossa dal suo coraggioso intervento.»

   Quando le diede la missiva, le loro dita si sfiorarono ed Emerald faticò a soffocare un brivido di eccitazione.

   Si sentiva ridicola, rifletté, ma non poteva farci niente.

   «Vi pregherei, se è possibile, di convincere vostro cugino a scriverle due righe dicendo che non si è trattato di nulla di importante. Le fanciulle di diciassette anni, come capirete di sicuro, hanno una certa propensione a farsi facilmente impressionare e non vorrei che mia sorella si lasciasse trascinare dalla sua fervida immaginazione.»

   «Capisco» concordò Emerald prendendo la lettera e infilandola nella borsetta, senza aprirla per leggerla.

   «Anzi, vi sarei ancora più grato se mi diceste dove vive esattamente vostro cugino. Se mi capitasse di andare in America, come è molto probabile in un futuro piuttosto prossimo, potrei recarmi da lui e ringraziarlo personalmente per quello che ha fatto.»

   Emerald si morse le labbra.

   Che cosa poteva rispondergli?

   Forse Azziz le avrebbe potuto dare una buona idea.

   «Scriverò il suo recapito e ve lo farò avere» gli promise.

   «Andrò a Falder fra un paio di giorni, me lo darete quando verrete da me.»

   L'orchestra cominciò a suonare il valzer che precedeva sempre il rinfresco.

   «Perché ho l'impressione di avervi già conosciuta, Lady Emma?» le domandò d'un tratto il Duca di Carisbrook.

   «Forse siete venuto nel Cheshire, Vostra Grazia?»

   «No, ne sono sicuro. Il ricordo del vostro viso mi sembra legato al sole e al mare, piuttosto che alle nebbie dell'Inghilterra.»

   Emerald rabbrividì a quelle parole e, per la disperazione, gli prese una mano e lo invitò a ballare, contravvenendo a tutte le regole del ton.

   Asher la guardò stupito, ma la seguì docilmente e, dopo pochi attimi, stavano danzando, stretti l'uno all'altro. Wellingham sembrava perfino avere più senso del ritmo della giovane, sebbene lei venisse dai Caraibi.

   Emerald chiuse gli occhi e sognò di essere una donna rispettabile, invece che la figlia di un pirata. Immaginò che ci fosse un futuro per lei e il bel duca, che la realtà fosse differente da quello che era.

   Asher la strinse forte. Dalla morte di Melanie non aveva più chiesto a una donna di ballare e, anche in quel caso, non era stato lui a voler danzare, tuttavia gli bastava il profumo della pelle di Lady Emma per farlo sentire eccitato.

   Forse un po' troppo eccitato, si disse notando gli sguardi intorno a lui. Con molto tatto allontanò Emerald, in modo di non far scoppiare uno scandalo.

   «Voi non siete abituata alla vita mondana di Londra» le disse. «Se non volete diventare argomento di pettegolezzi, fareste meglio a non sedervi al mio tavolo per il rinfresco.»

   «Scherzate? Le due giovani donne che prima mi erano vicine mi hanno pregato di esservi presentate. Voi sembrate un tipo molto interessante, mi hanno detto.»

   «Interessante? Siete sicura che si siano espresse in questo modo?»

   «Si sono espresse in un modo che non oserei ripetervi.»

   Asher scoppiò a ridere. «Dove siete stata educata?» le domandò stupito.

   «In convento, naturalmente» gli rispose lei. «Perché?»

   «Doveva essere un convento molto particolare. Avete già avuto qualche proposta?»

   «Quale proposta?»

   «Di matrimonio. Non sapete che questa è la stagione in cui le debuttanti vengono a Londra per essere presentate in società e trovare un buon marito?»

   «Un marito?»

   «Un uomo come me che se le sposi» spiegò lui con molta disinvoltura.

   Emerald lo guardò interessata.

   «E anche voi state cercando una moglie?»

   «Se aveste sentito i pettegolezzi sul mio conto» fu la risposta, «sapreste che il matrimonio non mi interessa.»

   Emerald si sentì presa in giro.

   «In questo caso, Vostra Grazia, sarete lieto di sapere che il matrimonio non interessa nemmeno a me.»

   «E allora perché siete venuta a Londra, Lady Emma?»

   Emma non rispose subito, come fulminata dal suo sorriso e dal tono profondo della sua voce. Lo rivide per un attimo sul ponte della nave su cui l'aveva conosciuto, con gli occhi che brillavano per l'eccitazione della battaglia.

   L'aveva lasciata andare solo quando si era accorto che non era un ragazzo, come aveva creduto fino a un attimo prima, ma una fanciulla.

   Allora Emerald aveva provato qualcosa che non era riuscita a comprendere, data la sua giovane età, ma che adesso capiva molto meglio.

   E capiva anche che il Duca di Carisbrook era un gentiluomo nel vero senso della parola, che non avrebbe mai fatto del male a una donna anche se questa sapeva usare la spada e il pugnale meglio di un uomo o di chiunque altro sulla Mariposa.

   «Sono venuta a Londra per stare vicina a mia zia. È sola e sta diventando anziana, non ha altri al mondo che me e Liam.»

   «Forse, con l'età, la contessa non ci sente più molto bene» insinuò Asher.

   «Non capisco.»

   «Gli orari di vostro cugino non si conciliano molto con quelli di una persona non più giovane come vostra zia. Va e viene a tutte le ore della notte, senza il minimo riguardo per chi deve dormire.»

   L'aveva fatta sorvegliare, era chiaro.

   «Mi sembra che sia stata una fortuna per vostra sorella che Liam non vada a dormire troppo presto» si permise di replicare.

   «Una fortuna davvero, ma mi chiedo per quale motivo vostro cugino seguisse la mia carrozza.»

   «Liam?»

   «Il mio cocchiere mi ha detto che quella sera aveva notato un veicolo che gli stava alle calcagna mentre percorreva le vie di Londra. Si è anche ricordato che si trattava di una carrozza a noleggio. E io so che vostra zia non ha una carrozza di sua proprietà.»

   Emerald si sentì presa in trappola, ma forse poteva ancora fare qualcosa per sviare i suoi sospetti.

   «Forse non stava seguendo vostra sorella» obiettò.

   «L'ho pensato anch'io. Forse stava seguendo me.»

   «E per quale motivo lo avrebbe fatto?»

   «Domanda molto interessante.»

   «E avete trovato una risposta?»

   «No» ammise laconico lui.

   «Allora, dovete sapere che mio cugino possiede una piantagione di cotone» precisò Emerald. «Non ha bisogno di procurarsi denaro con sotterfugi o ricattando qualche ricco personaggio come voi.»

   «No?»

   «Assolutamente no. Mi sbaglio o lo stavate insinuando?»

   «Non insinuavo proprio niente.»

   «Né tanto meno è il tipo di persona che cercherebbe di rapire vostra sorella.»

   «Come vi è venuto in mente?» inorridì il Duca di Carisbrook.

   Emerald si sarebbe morsa la lingua. Stava dicendo più di quanto avrebbe dovuto o voluto.

   «Vostra Grazia, perché vi prendete gioco di me?» gli chiese, cercando di scherzare.

   «Non mi prendo gioco di voi, anzi mi sembra esattamente il contrario. A volte dubito che siate davvero quello che dite di essere, Lady Emma» considerò Wellingham con un tono che le fece mancare un battito.

   Se avesse saputo davvero chi era, si disse Emerald per cercare di calmarsi, si sarebbe trovata in prigione in un batter d'occhio.

   Ma non doveva abbassare la guardia, perché il duca aveva dei sospetti e non li nascondeva.

 

   Il rinfresco era servito su un tavolo molto lungo e Asher la condusse a sedersi a uno dei tavoli più piccoli che gli erano disposti attorno, dove si erano già accomodati i Leary, Jack Henshaw e Char­lotte Withers. Emma si sedette accanto alla moglie del vescovo.

   «Suonate uno strumento, Lady Emma?» le domandò la padrona di casa.

   «No, mi dispiace.»

   L'armonica a bocca non era di certo il tipo di strumento che sarebbe piaciuto a Lady Flora.

   «Cantate?»

   «Nemmeno.»

   Anche il suo repertorio non sarebbe stato adatto alle raffinate orecchie della nobildonna. Emerald dubitava che avrebbe apprezzato le ballate da taverna che le avevano insegnato gli uomini di suo padre.

   «Mio padre era un uomo molto religioso» le spiegò. «Non pensava che la musica fosse un mo­do per lodare Dio, ma al contrario era convinto che risvegliasse gli istinti più bassi dell'uomo. Mi ha sempre proibito di dedicarmi a quest'arte.»

   «Un uomo estremamente rigido, non doveva essere facile vivergli accanto» commentò Asher, che si era seduto al fianco della giovane, intromettendosi nei loro discorsi. «Che cosa vi spingeva a fare?»

   «A cavalcare e a cucinare» rispose Emerald senza pensarci.

   Si accorse subito del proprio errore.

   Una dama dell'aristocrazia cavalcava, ma cucinare era un'incombenza destinata alle domestiche.

   «Forse volevate dire che vostro padre vi spingeva a interessarvi di cucina in modo da diventare una buona padrona di casa, capace di studiare un menu per i suoi ospiti. Era così, mia cara?» le chiese Lady Flora, dandole un prezioso aiuto per togliersi dall'imbarazzo.

   «Esattamente.»

   Lady Charlotte Withers si aggrappò al braccio di Asher, che si era appoggiato al tavolo per conversare con loro.

   «Vostro fratello Taris era un grande intenditore di vini, Vostra Grazia. Come sta? La sua vista è migliorata?»

   «Molto migliorata.»

   «Ne sono felicissima, è una bella notizia. Ditegli che ho chiesto di lui e che, se verrà a Londra in futuro...»

   «Glielo dirò.»

   Sua zia Miriam le aveva parlato del fratello minore di Asher, ma non aveva accennato al fatto che avesse problemi alla vista. Il Duca di Carisbrook, come sempre, assunse un'espressione imperscrutabile.

   Un fratello con problemi alla vista, una donna bellissima di nome Melanie... Quanti segreti aveva ancora per lei, pensò Emerald.

   Sembrava estremamente diffidente, perfino lì a Londra, in mezzo ai suoi amici. Come se si guardasse costantemente intorno per assicurarsi che non ci fossero pericoli.

   Il suo bel volto mascolino era sempre teso, oscurato da una vena di tristezza.

   Emerald era sicura che, se si fosse sentito minacciato, avrebbe usato senza esitazione il minuscolo pugnale che nascondeva fra le pieghe della sua giacca.

   E lo avrebbe usato con grande abilità, con la precisione di un chirurgo.

   Era incredibile ed estremamente affascinante contemplare gli aspetti contrastanti della sua personalità, la grazia e l'eleganza dei suoi modi e la spregiudicatezza con cui avrebbe saputo usare un pugnale o una spada.

   Le persone che li circondavano non avevano la minima idea di che cosa fosse capace Asher Wellingham né di che cosa fosse capace lei.

   Non sapevano nulla del ribollire del mare e del sangue sui ponti delle navi, della paura e del dolore.

   Quella era stata la sua vita per un lungo periodo. E così era stata anche l'esistenza di Asher per il tempo necessario a lavare il proprio onore e a mandare Beau Sandford a fare compagnia ai pesci, in fondo all'oceano.

 

   Asher ordinò al cocchiere di accelerare il passo dei cavalli e poi, senza richiudere il finestrino, si appoggiò al sedile e si godette la brezza notturna delle vie di Londra.

   Il cielo era limpido, per la prima volta dopo molte notti, e le stelle si vedevano chiaramente. Suo fratello ne sarebbe stato felice, perché contemplare il cielo con il telescopio che gli aveva portato dalla Cina era diventato uno dei suoi passatempi preferiti, considerò Asher.

   Per quanto ancora lo sarebbe stato?

   La vista di Taris peggiorava ogni giorno di più e Asher maledisse Charlotte Withers per averne parlato.

   Lady Emma sarebbe stata a Falder da lì a due giorni e lui avrebbe preferito che lei non sapesse delle condizioni di suo fratello.

   Non voleva che nessuno lo sapesse, che nessuno ne facesse cenno con Taris, fino a quando non fossero stati certi della reale gravità della sua malattia.

   Che cosa lo aspettava? Una cecità parziale o totale?

   Se solo Taris non fosse andato nei Caraibi per pagare il suo riscatto, dopo che lo avevano rapito, se avesse lasciato ad altri quella pericolosa incombenza!

   Ma Taris non era così. Era andato di persona e aveva pagato di persona per la salvezza del fratello.

   Dio mio, abbi pietà di me, implorò, cercando di soffocare i sensi di colpa.

   La preghiera si mescolò con il ricordo profano della visione del seno nudo di Lady Emma, che gli appariva per un attimo mentre lui abbassava lo sguardo.

   Sul seno destro c'era una piccola farfalla azzurra, un minuscolo tatuaggio di cui dapprima non si era accorto, ma che aveva notato solo in un secondo momento.

   Era una farfalla delicata, fragile, inaspettata, più leggera di una piuma.

   Emma Seaton, si disse Asher a bordo della carrozza che attraversava Londra nel buio della notte, lo avrebbe sempre sorpreso.

   Per la prima volta dopo anni provava curiosità, una sensazione così nuova che si sarebbe messo a ridere.

   Voleva sapere tutto di quella giovane e il fatto che fosse così riservata non faceva altro che acuire il suo desiderio di conoscere ogni particolare della sua vita.

   Occhi turchesi e capelli biondi dai riflessi ramati, pelle dorata dal sole, riccioli ribelli che le accarezzavano il collo e il viso accendendo in lui un desiderio incontrollabile.

   Si chiese come sarebbe stata vestita con gli abiti di un grande sarto o pettinata da uno dei parrucchieri che sapevano rendere attraente anche la più insipida delle donne di Londra.

   E le sue morbide braccia, avvolte dalla seta finissima che veniva dall'Oriente, gli sarebbero forse sembrate ancora più desiderabili da accarezzare?

   Asher imprecò.

   Non aveva mai avuto amanti e, anche adesso che era vedovo, si serviva solo saltuariamente delle prestazioni di cortigiane che l'aiutavano a superare i momenti peggiori di solitudine, ma niente di più.

   Quella sera, però, mentre la sua carrozza girava l'angolo fra Pall Mall e St. James's Square accompagnata dai rintocchi delle campane di Westminster, per la prima volta sentì di avere bisogno di ben altro, per superare la crisi.

   Nessuna cortigiana sarebbe riuscita a estinguere la sete di amore che lo stava consumando.

 

   Una volta a casa di sua zia, Emerald aprì la lettera che il Duca di Carisbrook le aveva consegnato e lesse le parole di Miss Lucinda, che trovò ingenue e sentimentali proprio come lui le aveva detto.

   La gettò subito nel fuoco dopo averla memorizzata con cura per poter scrivere un'eventuale risposta a nome di Liam, poi andò alla finestra a osservare il firmamento.

   Quella notte il cielo era limpido, con una mezza luna crescente bassa sull'orizzonte. Probabilmente il giorno dopo sarebbe piovuto, perché un velo di umidità circondava la luna e l'aria era a tratti fredda e pungente.

   Si chiese dove fosse il Duca di Carisbrook in quel momento.

   Forse con una bella donna, e il pensiero le sembrò particolarmente irritante.

   Perché?

   Asher Wellingham non era niente per lei.

   Una volta a Falder avrebbe cercato il bastone e, se lo avesse trovato, si sarebbe allontanata da lui e da Londra il più in fretta possibile, per non tornare mai più.

   Questione di giorni, se non di ore.

   Eppure ricordò con nostalgia la morbidezza della sua elegantissima giacca quando vi aveva appoggiato la guancia, mentre quella sera danzavano insieme.

   L'Inghilterra la stava riducendo a una sciocca sentimentale? A una di quelle donne che dipende­vano disperatamente dagli uomini?

   «Dio mio!» esclamò amareggiata.

   Era la figlia di suo padre, aveva una cicatrice sul sopracciglio dell'occhio destro, un ricordo della visita che le avevano fatto Black Jack Porrit e i suoi uomini, sulla costa nei pressi di Barranquilla nell'inverno del 1819.

   Prima che qualcuno indagasse sulle sue origini, doveva lasciare Londra.

   Erano le due di notte, un campanile lontano aveva appena suonato l'ora. Emerald sistemò le coperte a formare una specie di nido e vi si accomodò. Prima di addormentarsi, invocò il nome della sorellina relegata in un remoto convento, fra quelle suore troppo energiche per sembrare spirituali a cui l'aveva affidata nonostante le sue lacrime.

   «Non temere, Ruby. Presto verrò a prenderti» le promise ancora una volta, come il giorno lontano in cui l'aveva lasciata.

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