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La notte dei misteri

di CHRISTINE MERRILL

Cornovaglia, ottobre 1814. Con una tempesta in arrivo dalla costa e le tenebre che stanno calando, Jack Kendall si sente fortunato quando scorge una locanda in lontananza. Man mano che si avvicina, però, comincia a ricredersi e avvertendo qualcosa che non va in quel luogo. Qualcosa che potrebbe mettere in pericolo la sua stessa vita. Per un attimo valuta l’opportunità di rimontare in sella al suo fedele Ajax e galoppare fino alla prossima locanda, ma scorge una pallida e splendida donna, affacciata alla finestra. Decide così di sfidare il fato, entrando nel locale.

5

Jack seguì le indicazioni per raggiungere la stanza alla fine del corridoio e aprì la porta, curioso di vedere il rifugio della misteriosa Joy.

La stanza era molto pulita ma priva di ornamenti. Qualche abito era appeso a dei ganci sul muro: erano di seta malandata e satin stropicciato, usati ma fin troppo raffinati per la cameriera di una taverna.

In mezzo a questi c’era il vestito color lavanda che le aveva visto indossare alla finestra. Jack chiuse la porta e si avvicinò all’abito per toccarne il tessuto. Doveva essere stato bello, un tempo, ma ora era tutto rammendato. Qua e là vi erano piccole ricuciture sul pizzo, sembrava che, dopo aver provato a lungo, la proprietaria del vestito avesse rinunciato a sistemarlo. Jack fu preso da una forte emozione e si trattenne a stento dal buttare l’abito, in modo che lei non potesse più indossarlo.

I pochi altri oggetti nella stanza erano di ottima qualità, ma logori. Una Bibbia dalla copertina sbiadita era appoggiata su una sedia vicino al letto; su un tavolino si trovavano uno specchio rotto e annerito, un pettine d’argento e una bottiglietta con il tappo rotto. Jack sorrise: era sicuro che se avesse aperto la bottiglietta avrebbe sentito ciò che rimaneva di un profumo di lavanda francese.

D’impulso si avvicinò al letto e infilò la mano sotto il cuscino. Così come si era aspettato, c’era la mela di Ognissanti. Con un groppo alla gola immaginò i sogni della ragazza che viveva in quella stanza: una vera signora, molto lontana dalla ragazza che era giù nella taverna. Anche se non era armato di cattive intenzioni, la sua presenza in quella stanza rappresentava una sorta di violenza.

Sentì un live rumore alla porta. Joy entrò nella stanza con in mano la bottiglia di cognac. Teneva il capo basso, ma si avvicinò a lui con passo deciso; non era sicura riguardo alle sue intenzioni, ma era ben decisa a non dargli la soddisfazione di vederla spaventata.

Jack non voleva tenerla sulle spine e disse, con voce chiara e ferma, in modo tale che lei non potesse fraintendere: “Tutto questo non ha senso…”

Joy si buttò tra le sue braccia, interrompendo le sue parole con un bacio disperato. Per un attimo Jack dimenticò tutto il resto e sentì solo il sapore delle sue labbra.

Joy aveva ragione, era in pericolo. E lei era parte della trappola.

Il suo bacio appassionato era strano. Sapeva come baciare, ma non sapeva farlo bene. Non sembrava conoscere le regole della seduzione, perché non ne aveva né voglia né bisogno; e non si aspettava in cambio alcuna tenerezza.

L’abbandono con cui si era offerta a lui per un attimo accese i suoi sensi, ma la evidente mancanza di esperienza di Joy gli strinse il cuore.

Lei meritava di più.

Riprese il controllo di sé e la baciò, così come meritava: un lungo bacio, appassionato. Frenò l’impulso di abbandonarsi completamente. Lasciò invece che la sua lingua stuzzicasse quella di lei e cercò di rassicurarla: se si fosse lasciata andare, da lui non avrebbe ricevuto che dolcezza e piacere.

Dopo qualche minuto, Joy si allontanò lentamente da lui, anche se avrebbe voluto rimanere più a lungo tra le sue braccia. Sospettava però che il bacio di quello straniero fosse una trappola, come quella che lei gli aveva riservato. Posò il palmo della mano sul suo petto e sentì il battito del suo cuore. Dallo sguardo di lei Jack si accorse che provava le stesse sensazioni: i loro cuori battevano all’unisono.

Quando cercò di parlare, Joy gli posò un dito sulle labbra e mormorò: “Per favore, Jack, abbassa la voce, altrimenti ti sentiranno. Credo che ci stiano ascoltando attraverso la porta.”

“Va bene,” rispose stringendola ancora fra le braccia, non gli era sfuggito il tono confidenziale con cui lei gli si era rivolta. “Dimmi la verità, che sta succedendo qui dentro, e che c’entri tu in tutto questo?”

***

Joy gli indicò la bottiglia di cognac e gli disse: “È drogata. Così com’era dragata la birra che ho lasciato cadere prima. Ho commesso un errore: se tu l’avessi bevuta, ti avrebbero lasciato dormire riverso sul tavolo della locanda o forse ti avrebbero preso e scaricato nella stalla. Ma ora sei qui al piano di sopra, dove nessuno può vedere né sentire cosa accade. Vogliono derubarti e poi sgozzarti…”

“Non mi sorprende affatto. Ma tu cos’hai a che fare con questa gentaglia? Chi sei, Joy?”

Joy abbassò lo sguardo e replicò: “Non ha importanza. Io non conto nulla…”

“Non è vero, non per me… chi sei, Joy, e che ci fai in un posto del genere?”

“Devi andartene, Jack…”

“Prima dimmi chi sei, altrimenti non mi muoverò da qui!” esclamò Jack, stringendola più forte a sé. Voleva dimostrarle di essere dalla sua parte.

Joy chiuse gli occhi e aggottò le sopracciglia. Per un attimo Jack credette di doverle riformulare la domanda. Sembrava che avesse difficoltà a dirgli la verità, come se le pesasse aprirsi, come se dovesse trattenere le labbra dal rivelargli la sua vera identità, così come lui le aveva chiesto. Infine disse con un fil di voce: “Hai visto giusto, giù, nella taverna: quegli uomini sono tutti rozzi criminali. Non c’è legge che ti tuteli da queste parti. Vivono di contrabbando facendo affari con i francesi e facendo schiantare le navi inglesi sugli scogli in modo da poterle depredare.”

“E tu?”

“Mi chiamo Joy Colliver. Mio zio aveva un’imbarcazione da diporto. Era piccola ma carina. In una bella giornata di sole siamo andati al largo, ma ci ha colti una tempesta improvvisa. Si è fatto subito buio e le luci della costa, che ci indicavano la rotta, non erano quelle del faro, così come ci aspettavamo. Non ci accorgemmo delle rocce fin quando non ci sbattemmo contro. Gli uomini che accorsero in nostro aiuto…” Joy rabbrividì. “Non avevano certo buone intenzioni. Erano sciacalli, non ho mai saputo che cosa è successo a mio zio e agli altri, ma ho visto il loro capo, Tallack – il locandiere – sparare al capitano.”

“Tu però sei sopravvissuta.”

Joy sorrise amaramente: “Solo perché valevo di più del nostro carico.” Per un attimo Jack la sentì vacillare. “Ho cercato di scappare, in tutti i modi, credimi. Ho percorso diverse miglia per trovare aiuto, ma mi hanno ripresa. L’ultima volta Tallack mi ha detto che se ci avessi riprovato mi avrebbe uccisa.”

Jack d’istinto la strinse più forte a sé, pronto a baciare le sue lacrime.

Gli occhi di Joy però rimasero asciutti, era come se avesse pianto tutte le lacrime che aveva per ciò che le era accaduto, e ora non le era rimasto più nulla.

Si irrigidì, era chiaro che non si trattava di una ragazza debole, pronta a scaricare su un’altra persona il suo fardello. Era risoluta e con la volontà di ferro di un guerriero: “Dopo che ti ho avvisato di andartene, Tallack mi ha detto che se non avessi fatto la mia parte nel tenderti una trappola, domattina ci sarebbero stati due cadaveri da seppellire, e non solo uno. Non mi importa nulla di me stessa, ma non posso lasciar morire un uomo innocente.”

Jack rise accarezzandole la guancia. Senza che ci pensasse, le sue mani cominciarono ad accarezzarle la schiena: “Tesoro mio, non sono così innocente…”

Per un attimo Joy sembrò spaventata, ma poi aggiunse: “Non credo proprio, signore. Io ho visto il male e tu non gli assomigli per niente.”

Un’ombra oscurò i suoi occhi mentre pensava a quello che aveva dovuto sopportare nelle mani di quei farabutti. Sebbene sapesse perfettamente a che livello di crudeltà potessero arrivare, dal suo atteggiamento si capiva che avrebbe dato se stessa pur di salvare Jack.

Jack sentì la rabbia salire in lui, più forte e terribile perfino di quella che aveva provato in battaglia, ma la nascose con una risata e le prese la mano: “Grazie, Miss Colliver, per ciò che pensi di me. Per te sarò un prode cavaliere.” La guardò negli occhi e aggiunse: “Ma ti posso assicurare che essere senza colpa è molto diverso dall’essere indifesi. Permettimi di dimostrartelo.”

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