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La notte dei misteri

di CHRISTINE MERRILL

Cornovaglia, ottobre 1814. Con una tempesta in arrivo dalla costa e le tenebre che stanno calando, Jack Kendall si sente fortunato quando scorge una locanda in lontananza. Man mano che si avvicina, però, comincia a ricredersi e avvertendo qualcosa che non va in quel luogo. Qualcosa che potrebbe mettere in pericolo la sua stessa vita. Per un attimo valuta l’opportunità di rimontare in sella al suo fedele Ajax e galoppare fino alla prossima locanda, ma scorge una pallida e splendida donna, affacciata alla finestra. Decide così di sfidare il fato, entrando nel locale.

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Un lampo illuminò per un istante le tenebre della notte. Il rombo del tuono seguì subito dopo. Jack Kendall avvertì l’odore pungente della salsedine che arrivava dal mare e che preannunciava l’arrivo di una tempesta. Maledisse la propria testardaggine, come gli era saltato in mente di intraprendere un viaggio a dorso di un cavallo in Cornovaglia a ottobre? Qualsiasi altro uomo dotato di buonsenso avrebbe aspettato la primavera e avrebbe preso la diligenza.

Invece lui aveva lasciato Londra d’istinto. Aveva preso la strada più veloce, che seguiva la costa, per riposare man mano a casa di qualche suo amico. Tuttavia, fino a quel momento non aveva fatto altro che seguire strade accidentate e sottostare alla furia degli elementi. Si strinse nella mantella e speronò il cavallo verso l’edificio che vedeva sorgere davanti a sé.

Sull’insegna sbiadita si leggeva Ostel an Lusow. Cercò di ricordare le poche parole che conosceva del dialetto locale – Ostelsignificava certamente locanda. An Lusow… forse aveva a che vedere con il fuoco, pensò, sebbene non ci fosse alcun disegno sull’insegna che potesse confermare la sua ipotesi. Un po’ di colore brillante sul nome del locale era tutto ciò che avrebbe dovuto far sentire a suo agio l’avventore. C’era qualcosa di quel luogo… il manto d’erba non curata che lo circondava, le pietre scure dei muri, le finestre serrate, la fatiscente stalla lì accanto Tutto sembrava comunicare a chi vi giungeva che non era ben accetto.

Sempre meglio di niente, pensò Jack, dubitando fortemente di trovare un’altra sistemazione, lì intorno prima che giungesse la tempesta. Così smontò da cavallo e chiamò il garzone delle stalle per affidargli il suo destriero.

Quando si rese conto che nessuno accorreva ad aiutarlo, Jack accompagnò lui stesso il cavallo nelle stalle. Pochi e malandati cavalli da traino erano stipati in quella rimessa fatiscente e non c’era traccia di anima viva in giro. Così Jack prese il forcone, ammassò un po’ di biada fresca sul pavimento e riempì un bidone d’acqua per dare ristoro al suo cavallo, dopo avergli ricavato un posto decente in quella stalla.

Il cavallo lo seguì con lo sguardo e parve fare eco ai suoi pensieri tutt’altro che positivi riguardo a quel posto.

“Meglio che star fuori, Ajax. E poi, è solo per stanotte. Se ti può consolare, sto per ricevere un trattamento peggiore del tuo, lì dentro” esclamò per poi lasciare la stalla e dirigersi verso il cortile.

Jack avvertì all’improvviso il bagliore di un volto che lo osservava dall’alto di una delle finestre. Alzò lo sguardo, riuscendo a scorgere per qualche istante il viso pallido di una ragazza.

Jack sbatté gli occhi e provò a rialzare lo sguardo.

Non era un’apparizione, era una donna vera. Quasi non si aspettava di poter scorgere un viso così bello in un posto tanto squallido. Aveva il viso molto pallido contornato da sottili capelli dorati, indossava un vestito di seta color lavanda che era decorato con del pizzo elaborato. Non propriamente l’abito adatto alla stagione, tantomeno al luogo. La bellezza della giovane donna però lo rincuorò. Immaginò di bere un buon bicchiere di vino, di fare una cena discreta, di danzare in una sala dorata con quella bella straniera dai grandi occhi azzurri, di vederla sorridere e infine di ascoltare il piacevole suono della sua risata argentina.

Quel viso era velato di un’insolita tristezza, che lui istintivamente si portò la mano al cappello per salutarla e per strapparle un sorriso.

All’improvviso, però, la visione sparì e a Jack sembrò di averne avuto solo un miraggio.

Possibile che la ragazza alla finestra fosse stata il frutto della sua immaginazione o che avesse scambiato una luce tremula per una visione? Più probabilmente si trattava di una donna in carne e ossa che si era sentita offesa dallo sguardo insistente di Jack, mentre si preparava per la notte e aveva dato un ultimo sguardo al cortile.

Jack si perse per un attimo in quella fantasia e immaginò cosa avrebbe scoperto se lei avesse lasciato la luce accesa. Forse avrebbe visto il corpo di lei, setoso e latteo come la carnagione del viso; avrebbe forse dovuto raggiungere la sua stanza per indagare… poteva quasi sentire il profumo di rosa della sua candida pelle, vellutata al tatto e dal sapore dolce.

Sbuffò. Lei era esattamente il tipo di donna che avrebbe rifiutato sdegnosamente le profferte d’amore di un secondogenito squattrinato come lui. Gli era già capitato, due anni prima. Ma ora Jack aveva avuto fortuna in guerra. Eppure, se fosse ritornato da colei che l’aveva rifiutato, non avrebbe trovato un cavaliere in congedo, e con le tasche piene di soldi, quanto piuttosto un uomo rude che la guerra aveva cambiato radicalmente.

La prima goccia di pioggia cadde sul viso di Jack, che si affrettò a raggiungere la soglia della locanda. Una volta entrato, si tolse il mantello già zuppo di pioggia e si avviò verso il bancone. Senza alzare lo sguardo, chiamò a gran voce la cameriera che doveva essere lì nei paraggi. “Portami una birra, Molly. O Polly oppure Maggie, o come diavolo ti chiami. Non ha importanza. Voglio anche cenare e ho bisogno di una stanza per la notte. C’è un tempo da lupi, là fuori…”.

L’unica risposta che ricevette fu un ostinato silenzio carico di sospetto e diffidenza come il fumo del tabacco che si alzava verso il soffitto. Jack avvertì un latente pericolo.

Una normale locanda sarebbe stata piena di cameriere, con in sottofondo il rumore di posate, bicchieri e le risate degli avventori che si lagnavano del brutto tempo, del re e del raccolto della stagione, tra una bevuta e l’altra. Avrebbe dovuto sentire il profumo dell’arrosto, del pane appena sfornato e della birra. Il tutto condito dall’immancabile senso di ospitalità delle locande inglesi. Altrimenti, valeva la pena viaggiare?

Quando Jack osservò meglio la stanza, incontrò solo sguardi circospetti e diffidenti. La clientela era formata da uomini astiosi con la pelle scavata, tipica dei pescatori e dei marinai. Il genere di uomini che, sbarcati dalle loro navi, sembravano pesci fuor d’acqua, in tutti i sensi. Erano tutti impassibili, tranne quei pochi che fumavano la pipa. Tutti però non distoglievano lo sguardo da Jack, seguendone ogni singolo movimento.

Finalmente, l’uomo dietro al bancone mormorò qualcosa in un incomprensibile cornico, quel dialetto della Cornovaglia a lui quasi oscuro.

Tutta la clientela nella stanza sembrò rilassarsi e ognuno tornò alla sua bottiglia o alle sue carte.

Quella dove Jack si trovava era chiaramente una taverna dove ci si doveva guardare alle spalle e soprattutto stare attenti alle tasche per evitare problemi. Le canaglie radunate lì dentro non sembrava fossero lì per godersi un bicchiere di vino o di birra e la gioia della compagnia attorno al focolare. Stava per succedere qualcosa e Jack ebbe la netta quanto spiacevole sensazione di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Una parte di lui non vedeva l’ora di fare a botte con quei tipi – ma ricordò a se stesso di essersi lasciato quel passato alle spalle, in Portogallo, e che era tornato a casa in cerca di pace e tranquillità. Invece di ordinare la cena e di chiedere di pernottare, il buon senso gli suggeriva di rinsellare il cavallo e di ripartire in tutta fretta per allontanarsi il più possibile da qual posto.

Ci sarebbero volute ore prima di trovare un’altra locanda, però, e Jack era troppo stanco per rimettersi in viaggio. Così cercò di rilassarsi, sedendo tranquillo senza mai smettere di sorridere. Non avrebbe mai dato a quelle canaglie la soddisfazione di vederlo tremare di paura. Con la punta delle dita sfiorò il calcio della pistola che aveva in tasca.

Una ragazza si affrettò a raggiungerlo, uscendo dalla porta dietro al bancone mentre si allacciava il grembiule dietro la schiena. Reggeva un boccale di birra. Attraversò la stanza e lo raggiunse. “Joy, signore” gli disse.

“Eh?” chiese Jack, preso alla sprovvista. Che strano modo di salutarlo era mai quello? Posò delle monete sul tavolo e alzò gli occhi verso la ragazza. Trattenne il respiro.

Era la ragazza della finestra? Certo che no. Sebbene la carnagione pallida fosse la stessa. Alcune ciocche ribelli e dorate uscivano dalla cuffietta. Ma lui aveva visto una donna elegante in un vestito color lavanda. La ragazza che gli stava di fronte era la donzella di una locanda malfamata e indossava un pratico e grossolano vestito marrone da cameriera. Non vi era nulla di eccezionale in lei.

Forse in un’altra vita era stata la donna della finestra…

“Il mio nome,” gli sussurrò, senza incontrare il suo sguardo, mentre raccoglieva le monete riponendole nella tasca del grembiule. “Il mio nome non è Polly né Maggie, signore. Io mi chiamo Joy.”

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