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Un regalo meraviglioso

di LAURA MARIE ALTOM

Quando il marito di Rachel viene creduto morto dopo settimane di inutili ricerche, lei scompare con il frutto del loro amore che le sta crescendo in grembo. Il migliore amico di suo marito Chance è determinato a rintracciarla e forse, dopo diciotto mesi, c'è riuscito. Ma Rachel sarà pronta a sentirsi dire che...?

5

«Bello. Veramente bello.» Rachel arretrò di un passo per ammirare l'abete alto e folto che avevano appena finito di decorare. Sfere di vetro colorato e luci bianche e scintillanti penzolavano da ogni ramo. «Perfetto.»
Con Chance al suo fianco, nenie natalizie di sottofondo e un bel fuoco che scoppiettava nel camino, Rachel non avrebbe potuto immaginare uno scenario più incantevole.
«Non saprei» commentò Chance, un dito sulle labbra, mentre osservava i risultati del lavoro di un intero pomeriggio. «Manca qualcosa.»
«Uh! Abbiamo dimenticato l'angelo.»
«Io non l'ho visto, e tu?»
«No, nei pacchi che abbiamo aperto. Forse...» Rachel si girò e indicò Wesley intento a succhiare il coperchio della scatola dell'angelo. «Ecco. Trovato.»
«Grazie, amico.» Chance tolse la cu
stodia dalle mani del bambino. «Vuoi farlo tu?» propose poi, porgendo l'angelo dorato a Rachel.
«Sì, volentieri» replicò lei, troppo imbarazzata per ammettere quanto quel semplice gesto significasse per lei.
In orfanotrofio, la tradizione voleva che il compito di sistemare l'angelo sulla cima dell'abete fosse riservato al bambino ultimo arrivato. Poiché Rachel era andata a vivere lì quando i suoi genitori erano rimasi uccisi in un incidente d'auto, l'estate prima del suo quarto compleanno, non le era mai toccato quell'onore. Quando il Natale era arrivato, infatti, altri due piccoli orfani erano stati accolti dopo di lei.
Sapendo questo, Wes aveva reso il loro primo Natale da sposati ancora più speciale, insistendo per acquistare uno stravagante e prezioso angelo che non potevano davvero permettersi. A Denver - nel periodo della disperazione più cupa, nel tentativo di restare economicamente a galla - tra le altre cose era stata costretta a vendere il suo prezioso angelo per l'ingente somma di tre dollari.
Rachel scosse impercettibilmente la testa al ricordo dolceamaro di quanto avesse amato scambiarsi i doni con Wes, a Natale. Una parte di lei si senti
va in colpa perché era di nuovo immersa in un'atmosfera festosa... Wes non c'era più, tuttavia in qualche modo pensava che essere felice fosse un segno di slealtà verso suo marito.
Tornò a focalizzare l'attenzione sul presente e si arrampicò sulla piccola scala di legno che aveva già usato per appendere gli ornamenti ai rami più alti, ma anche così non riusciva a raggiungere la cima dell'albero.
«Lascia che ti aiuti.» Chance si portò alle sue spalle, la prese per la vita e la sollevò quel tanto che le bastò per portare a termine il suo compito.
Rachel si sentì sopraffare dalla piacevole sensazione della sua vicinanza, che le permeò i sensi fin quasi a farle girare la testa. E poi, le mani di Chance non avevano indugiato su di lei più a lungo del necessario, anche dopo che l'aveva rimessa a terra? Era per quello che il suo cuore stava facendo capriole? Che tipo di donna era, se un istante prima rimpiangeva il suo defunto marito e quello dopo si rallegrava per il contatto con un altro uomo?
«Grazie» si limitò a sussurrare. Si inumidì le labbra con la punta della lingua e, spinta dall'abitudine, alzò una mano per respingere i lunghi capelli che ormai non aveva più.
«Di niente.» Come se avesse percepito anche lui un certo imbarazzo, Chance si affrettò ad aiutarla a riporre le scatole vuote in una stanza che lui usava come ripostiglio.
«Perché hai accorciato i capelli?» le chiese quando tornarono nel corridoio oscuro.
La domanda la colse di sorpresa, aumentando il suo disagio.
«Così è più facile tenerli in ordine» spiegò Rachel.
«Erano belli. So che non sono affari miei, ma dovresti farli ricrescere. Stai bene lo stesso, è chiaro, ma Wes aveva una vera passione per i tuoi capelli. Sono certo che non sarebbe contento di sapere che li hai tagliati.»
E tu che ne pensi, Chance? Ti piacciono i miei capelli?
Rachel era contenta del buio, consapevole che il suo viso era andato in fiamme. Ma perché mai doveva interessarle quello che Chance pensava della sua pettinatura? Ancora peggio, perché la sua domanda l'aveva fatta sentire... insufficiente?
All'improvviso desiderò di aver conservato almeno un po' di lunghezza invece di aver scelto quell'acconciatura maschile. Un'acconciatura che non esaltava la sua femminilità e non la ren
deva desiderabile. Ma finché aveva vissuto all'ospizio, non aveva avuto senso per lei considerare la sua vanità.
«Chance?» chiamò con un tono simile a un sussurro.
«Sì?»
«Quando ci conoscemmo... Mi riferisco a quando tu, io e Wes eravamo amici, ai tempi di Ziggy's... mi trovavi attraente?»
Lui si schiarì la voce. «E questa che razza di domanda è?»
«Non saprei.» Rachel scosse la testa. «Forse non avrei dovuto chiederlo, hai ragione.»
In tutta onestà lei non aveva altre spiegazioni da offrire. Rachel tornò in salone, dove la vista dell'albero e del suo bel bambino servì a cancellare dubbi e timori. Era stata una domanda stupida. Così com'era stupida la sua crescente infatuazione per l'amico di suo marito. Al momento si sentì meglio, ma quando Chance la raggiunse, la sua essenza riempì la stanza.
«Solo per informazione...» disse riprendendo lo spinoso argomento, «sì, pensavo che fossi carina, ma credo che adesso tu lo sia ancora di più.»
Chance non riusciva a prendere sonno. Perché Rachel gli aveva posto una
domanda, così mirata? E perché lui sentiva che, rispondendole, aveva tradito la fiducia del suo migliore amico? Sì, per lui Rachel era carina, splendida in realtà. Ma per onorare la memoria di Wes, non avrebbe fatto meglio a evitare l'argomento?
Domenica mattina trovò ad attenderlo una colazione degna di un albergo a cinque stelle. «Wow!» esclamò. «Cosa si festeggia?»
Più bella di come ogni donna avesse il diritto di essere appena sveglia, lei scrollò le spalle.
«Volevo solo ringraziarti per fantastica giornata che abbiamo trascorso ieri. Avendo perso i genitori da piccola, ho sempre desiderato partecipare a queste tradizioni familiari.»
«È quello che noi siamo?» si informò Chance, mettendo un pancake nel suo piatto. «Una famiglia?»
«Hai capito a cosa mi riferivo» precisò Rachel. Evitò il suo sguardo e portò alle labbra un bicchiere pieno di succo di arancia.
Chance tagliò un pezzetto di pancake e lo porse a Wesley.
«Sì, so a cosa ti riferivi. Ma è quello che siamo, Rachel?»
Seduto fra lei e il bambino, all'im
provviso Chance si era reso conto che, qualsiasi fosse stata la risposta di Rachel, lui voleva sul serio che fossero una famiglia.
E, pur riluttante che fosse ad ammetterlo, dal giorno in cui aveva messo gli occhi su di lei tanti anni prima, aveva desiderato baciarla. Esattamente lì, sorgeva l'ostacolo. In qualche modo doveva trovare dentro se stesso la forza di reprimere quel desiderio.
«Siamo... una specie di famiglia» affermò lei poco convinta. «Ma suppongo che, una volta che mi sarà corrisposto il premio dell'assicurazione sulla vita di Wes, tu sarai felice di riavere la casa tutta per te.»
Chance allungò la mano per prendere la sua, le accarezzò il palmo giustificando mentalmente quel gesto come una manifestazione di amicizia. «In realtà, mi piace avervi qui. Svegliarti di mattina, trovarti a casa la sera e...»
Rachel rise. «Sei solo gentile, ecco tutto. Nessuno scapolo gode nell'essere intrappolato con la moglie e il figlio di un altro uomo.»
«È proprio questo il punto. Può sembrare una follia, ma io sono contento. Molto contento.»

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