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Un regalo meraviglioso

di LAURA MARIE ALTOM

Quando il marito di Rachel viene creduto morto dopo settimane di inutili ricerche, lei scompare con il frutto del loro amore che le sta crescendo in grembo. Il migliore amico di suo marito Chance è determinato a rintracciarla e forse, dopo diciotto mesi, c'è riuscito. Ma Rachel sarà pronta a sentirsi dire che...?

2

Diciotto mesi dopo.

Attraverso le vetrine bagnate di pioggia del negozio, Chance scorse una donna dai lunghi capelli biondo pallido.
Il cuore che gli martellava, fu tentato di correrle incontro alla ricerca di una risposta per quella domanda che si riproponeva ossessiva quando incrociava una donna con simili caratteristiche. Era lei? Era Rachel?
No, non era lei. E questa volta, come del resto tutte le altre volte, la delusione lo colpì con la violenza di un pugno nello stomaco.
Non l'aveva più vista dal giorno della commemorazione funebre di Wes. L'aveva cercata, eccome, ma Rachel sembrava svanita nel nulla.
Appena fatto ritorno al lavoro e alla sua cosiddetta vita normale, aveva assunto un investigatore privato per rin
tracciarla, pregandolo di informarlo anche del più insignificante progresso delle indagini.
«Stai bene?» gli chiese sua sorella Sarah, diciannove anni, alzando la voce per sovrastare i canti natalizi diffusi dagli altoparlanti nel centro commerciale. Stringeva fra le mani il profumo che aveva appena comprato per la madre. «Sembrerebbe che tu abbia visto un fantasma.»
«È una descrizione abbastanza precisa, la tua...» replicò lui annuendo. Le tolse la scatola di mano e la infilò nella busta già piena di regali. «Hai preso tutto ciò che ti serve?»
«Sì, grazie. Possiamo andare, se vuoi» confermò Sarah scoccandogli uno dei suoi sguardi densi di allusioni. Sapeva perfettamente che stava pensando di nuovo a Rachel, e si augurava
– anzi, quello sarebbe stato l'unico regalo per Natale che l'avrebbe resa davvero felice – che suo fratello maggiore si decidesse a dimenticare quella donna, la vedova del suo migliore amico, una volta e per sempre.
Due ore dopo, Chance richiuse alle spalle la porta della sua casa in stile vittoriano che aveva ricevuto in eredità da sua nonna materna, finalmente al rifugio dal traffico caotico delle feste e
dalla pioggia torrenziale. A Portland diluviava già da ventiquattro ore. L'ultima volta che avevano avuto un tempo simile era stata anche l'ultima volta che aveva visto Rachel.
«Ma dove sei finita?» mormorò avvicinandosi alla finestra, la voce che si confondeva con il lamento degli alberi sferzate dal vento.
Appoggiò i regali che aveva acquistato per la sua famiglia sulla panca di legno accostata a una parete dell'ingresso. Guardò ancora per qualche istante il cielo plumbeo, poi la sua attenzione fu attratta dalla luce lampeggiante della segreteria telefonica.
Certo di trovare un messaggio di Sarah - forse aveva dimenticato un pacchetto o un guanto nella sua Jeep -spinse il pulsante.
«Chance» esordì l'investigatore privato, la voce resa roca dalle troppe sigarette, «ho trovato qualcosa su quella donna. Nulla di troppo preciso, ma tu avevi detto che volevi essere informato di tutto, anche del più minimo...»
Anche se Rachel era fuggita senza nemmeno preoccuparsi di salutarlo, non poteva chiudere gli occhi senza rivedere le sue lacrime. Chance ascoltò il messaggio tre volte, poi accese il computer per prenotarsi un posto sul primo
volo in partenza per Denver.
«Wesley, tesoro, per favore, smettila di piangere!» sussurrò Rachel cullando il bambino di dieci mesi, l'unica fonte di luce in quella che stava diventando una vita sempre più oscura. Essendo cresciuta in un orfanotrofio, sapeva bene che cosa significava sentirsi sola fra la folla, ed era abituata a far affidamento esclusivamente sulle proprie forze. Allora perché, dopo sei mesi, le sembrava ancora tutto così difficile?
«Vuoi che lo prenda io?»
Rachel alzò la testa per guardare una delle nuove arrivate al Baker Street Homeless Shelter, un rifugio per i senza tetto, che tendeva le mani lerce verso suo figlio. Ancora non riusciva a rassegnarsi al fatto che lei e il bambino erano adesso quelli che la gente definiva vagabondi.
Dopo aver ripreso il nome che le avevano assegnato in orfanotrofio - Rachel Parkson - era andata a Denver per condividere un appartamento con l'amica Jenny. Mentre Jenny aveva avuto un colpo di fortuna, un fantastico lavoro che l'aveva portata a Des Moines, per Rachel era stato un lento precipitare negli abissi della cattiva sorte.
La gravidanza difficile l'aveva costret
ta a una lunga ospedalizzazione. Almeno il bambino era nato perfetto e in ottima salute, ma per pagare il conto delle spese mediche ci sarebbero voluti anni.
L'assicurazione di Wes aveva rifiutato di corrisponderle il premio della polizza sulla vita che lui aveva stipulato, affermando che una morte presunta non bastava per l'ordine di pagamento.
In breve tempo aveva perso tutto, e adesso era lì che si guadagnava un minimo salario tenendo in ordine i libri contabili dell'ospizio; inoltre cercava di terminare i suoi studi di economia aziendale seguendo i corsi serali dell'università di Denver.
Stava crescendo il suo prezioso bambino in un ricovero per barboni, i soldi le bastavano a malapena per comprare i pannolini. Ogni notte piangeva fino allo sfinimento, ma in quel particolare momento era troppo stanca persino per disperarsi. A volte pregava anche, ma sembrava che Dio, così come suo marito, si fosse dimenticato di lei.
Il piccolo continuava a lamentarsi.
«Scusa per il disturbo» mormorò alla povera anima distesa accanto a lei. Strinse il bambino al petto e, appoggiandosi sulla mano libera, si tirò in piedi. Doveva andare via di lì, ma co
me? Come poteva sfuggire a quella disastrosa situazione?
«Rachel?»
Quella voce...
Rimase muta e immobile per qualche istante, prima di alzare lo sguardo. Ma quando lo fece, brividi le corsero lungo la schiena.
 «Ma... Chance?»

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
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