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Dopo mezzanotte

di DAKOTA CASSIDY

"Mi chiedo dove tutto questo sia cominciato…"
Ecco una novella speciale, perché riguarda i personaggi e il prequel di due romanzi Romance firmati da Dakota Cassidy. Li trovi in edicola e sullo shop in febbraio e in aprile 2016.

1

Atlanta, Georgia, 2012
“Tu lavori qui?” chiese Flynn McGrady, dando un’ultima occhiata al piccolo caffè.
Catherine Butler fece uno sforzo per non alzare gli occhi al cielo e schiuse le labbra in un sorriso di circostanza, nel caso remoto in cui Arlo, il suo capo, si fosse voltato a guardarla. “Persino gli orchi bevono caffè?” esclamò.
“Solo quelli che mangiano i bambini.” Si accarezzò lo stomaco piatto con la mano abbronzata e le sorrise appena. “Sai, dobbiamo prima pulirli bene, i loro ossicini sono appuntiti come quelli dei polletti”.
Oh, cielo, no! Flynn McGrady era l’uomo più insopportabile di quella parte dello stato. Non si salvavano nemmeno le fossette che ogni tanto esibiva, le rare volte in cui sorrideva.
No, proprio no. Catherine strinse la penna tra le dita e chiuse il blocco appunti, cercando di distogliere la mente dall’immagine orribile che lui le aveva appena evocato e che le faceva rivoltare lo stomaco.
“Che cosa prendi?” Parlo con te, idiota!
“Tu che cosa mi consigli?”
Ti consiglierei qualcuno molto più tosto di me che ti metta a posto come si deve e ti mandi via a calci nel sedere? “Dipende da quello che ti piace. Il menù e proprio lì davanti a te.”
“Sì, lo vedo. Ma io sto chiedendo a te che cosa ti piace” ribatté serrando le mascelle squadrate in segno di sfida.
“Che cosa mi piace? Mi piacciono i clienti che sanno leggere da soli,” gli rispose indicandogli la lavagna scura appesa al muro, su cui erano segnati i piatti del giorno. Ci aveva perso un’ora a disegnare faccette felici sulla lavagna per rendere il menù più divertente e stuzzicante. La lavagna si trovava proprio davanti a lui, al di sopra della macchina del caffè.
Le mascelle di Flynn si irrigidirono ancora di più e la sua espressione si indurì. Sebbene le costasse molto, Catherine doveva ammettere che le faceva un certo effetto quella sorta di sguardo minaccioso, unito ai muscoli ben torniti che si intravedevano dalla camicia. L’aveva notato fin dal giorno in cui si erano conosciuti alla Casa di Cura Oakdale, dov’erano ricoverate le madri di entrambi.
“A me invece piacciono le bariste gentili e collaborative” replicò lo sconosciuto fissandola negli occhi.
Arlo, proprietario del bar nonché suo tiranno, la stava osservando da lontano. Aveva le braccia conserte e l’espressione imbronciata. Dannazione! Catherine era finita nella lista nera di coloro da tenere sott’occhio da quando aveva spiegato a un vecchio cliente che il triplo cappuccino non era per niente triplo. Arlo era un gran taccagno e Howard, uno dei suoi clienti prediletti, era un’entrata fissa e garantita. Veniva al caffè ogni giorno a mezzogiorno in punto, quando sua moglie era nell’edificio di fronte a fare fisioterapia. Beveva una tazza di caffè e mangiava un sandwich che però portava da casa. Cathy era ammirata dalla dedizione che Howard aveva nei riguardi della moglie.
Le sue parole verso di lei erano sempre così dolci, la sua devozione totale. Un amore assoluto che lei sperava di trovare un giorno.
L’amore. Magari anche solo una relazione che durasse più di pochi mesi prima cioè che lei perdesse interesse e rivolgesse il suo sguardo verso altri orizzonti.
Così, non aveva potuto star zitta e guardare Arlo mentre faceva pagare l’extra a Howard per il triplo cappuccino, era una vera ingiustizia. Tutti i dipendenti del caffè erano stati istruiti a spillare il più possibile dai clienti, faceva quasi parte del contratto. Maledetto taccagno.
Sebbene avesse un disperato bisogno di quel lavoro per pagare le spese del ricovero di sua madre alla clinica di Oakdale, Cathy non poteva andar contro la sua coscienza.
Cathy si mosse lentamente quando sentì addosso a sé lo sguardo inquisitore di Arlo e rispose: “Ascolta, Mister McGrady, so che abbiamo avuto le nostre divergenze in clinica. Non intendevo farti un torto quando ho portato a tua madre quelli che hai definito romanzetti osceni. Devi pur ammettere, però, che quei romanzi osceni le hanno permesso di ricordare alcune parole che sembrava aver dimenticato.”
Flynn aprì la sua bella bocca per ribattere, ma Cathy non gliene diede il tempo, perché alzò la mano prima che Mister So-tutto-io potesse protestare. “È vero che alcune parole erano un pochino… colorite, ma erano e sono pur sempre parole, no? E dopo un ictus, è molto importante riuscire a parlare, a esprimersi. Chiedi pure al dottor Fairlane. Ora, la casa di cura è una cosa, il mio lavoro è un’altra. Per favore, dunque, risparmiami il tuo risentimento; almeno qui.”
Che giornataccia! Non solo aveva dovuto sorbirsi la ramanzina del commercialista della clinica perché era in ritardo con la retta, ma ora arrivare anche litigare con un cliente rischiando di perdere il posto. Anche no grazie.
Oakdale era la migliore clinica privata della zona. La più esclusiva casa di cura del paese, che garantiva un eccellente programma di riabilitazione. Costava una fortuna, ma sua madre soffriva di diabete e necessitava di cure e di assistenza continue. Il fatto che lei non potesse garantirgliele giornalmente e a tutte le ore era un vero problema, per Cathy. Così avevano venduto la casa doveva avevano vissuto fino a poco tempo prima e una parte del ricavato era servita al ricovero a Oakdale. Avrebbero pensato dopo a dove andare a vivere, quando sua madre si fosse ristabilita.
Aveva faticato non poco a convincere quelli della clinica ad accogliere sua madre, viste le sue misere condizioni economiche, eppure ci era riuscita. Aveva poi trovato lavoro, sebbene non fosse una campionessa nel riuscire a mantenere un posto per più di qualche mese. Stavolta, però, doveva stringere i denti, si trattava del futuro e della salute di sua madre. Aveva bisogno di questo lavoro, la sua vita e quella di sua madre dipendevano da quei soldi.
“Le parole sono molto importanti, su questo siamo d’accordo, Miss Butler. È la scelta delle parole il punto su cui siamo in disaccordo. Non poteva portarle qualcosa di meno colorito? Qualcosa tipo… un libro per ragazzi?”
Cathy sorrise tra sé pensando a Della, la madre di Flynn, mentre si sforzava di pronunciare alcune parole che leggeva, seduta al centro della grande stanza dove i pazienti ricevevano visite.
“Suvvia, I Tre Moschettieri non ha un linguaggio così ricco di espressioni come Sculacciami più forte! Dopo lo choc iniziale per il contenuto di quei libri, ora tua madre pronuncia alcune parole alla perfezione. Quindi, rilassati.”
Flynn arrossì leggermente ed esclamò: “Faccio ancora fatica a credere come mai ti lascino ancora libera di chiacchierare con gli altri pazienti.”
Cathy si inalberò, anche se doveva ammettere che quei romanzi erano un po’ troppo spinti e che, se qualcuno li avesse fatti leggere a sua madre, avrebbe avuto anche lei da ridire. “Non posso credere che tu non sia felice che tua madre, dopo l’ictus, riesca a pronunciare per la prima volta parole difficili.”
Giocherellando nervosamente con il lembo del tovagliolo, Flynn batteva le dita sul tavolo. “Ti stai prendendo il merito per i suoi miglioramenti, ora?”
“No, ma un merito ce l’ho, ed è quello di averla rallegrata almeno un pochino, data la triste situazione. Tutto qui.”
Flynn la guardò. Aveva due splendidi occhi blu e una voce calda e avvolgente. “E così anche appendere poster che ritraggono uomini mezzi nudi è solo un modo per rallegrare l’ambiente, giusto?”
Cathy scrollò le spalle. “Be’, non lo è per gli uomini insicuri o per quelli che credono di sapere tutto. Altri meno spacconi di te hanno apprezzato, così come tua madre Della; anche a lei son piaciuti i poster. Avresti dovuto sapere che prima dell’ictus tua madre amava leggere libri romantici. E non mi sorprende affatto che non ci fosse un solo libro rosa tra quelli che le avevi portato in clinica.”
“Non era sicuro che sarebbe stata in grado di leggere.”
Cathy sbiancò per un attimo quando si accorse che Arlo stava osservando la tasca del suo grembiule: il suo dannato telefonino vibrava. Probabilmente la stavano chiamando dalla clinica, per chiederle ancora della retta.
Non avrebbe risposto, non ora per lo meno. Il suo pensiero andò al casino che aveva fatto Flynn quando sua madre aveva ripreso a parlare cinguettando parole oscene. Aveva sbraitato come se Cathy avesse portato Della in un locale ambiguo. Tutto quel rumore per nulla.
In fondo lei le aveva solo dato ciò che l’avrebbe resa felice, e così era stato. Erano ormai tre mesi che Cathy conosceva Della e lei, durante tutto quel tempo, non aveva mai sorriso se non quando aveva cominciato ad articolare dei suoni. Lo sguardo triste che aveva si era trasformato in uno sguardo carico di speranza quando le aveva portato la copia di La Tata dei Gemelli dello Sceicco – se ricordava bene il titolo del romanzo. Le labbra di Della avevano tremato in quello che era un sorriso. Cathy ne era certa.
Quindi quell’idiota, spaccone e maleducato di suo figlio poteva dire quello che voleva. Aveva ragione lei. Niente e nessuno le avrebbe impedito di incoraggiare Della, nemmeno suo figlio.
“Non hai nemmeno provato a circondarla delle cose che aveva amato prima dell’ictus, non è così? Ho chiesto a tua cugina Emmaline… Amos, giusto?”
Flynn annuì. Un’espressione grata gli si dipinse sul volto. “Sì, lei.”
“È così dolce, carina e gentile. Mi ha chiesto di chiamarla Emma e di farle sapere tutto ciò che può servire a far felice tua madre, perché ha intenzione di passare ad Atlanta e farle una visita. Se invece di criticare tutto e tutti, stessi accanto a tua madre un po’ più spesso e capissi cosa le piace davvero – romanzi rosa compresi – magari lei sarebbe più felice.”
Ti stai prendendo troppe libertà, Catherine Butler…
Flynn aggrottò le sopracciglia: “Stai per caso polemizzando sul mio modo di gestire la riabilitazione di mia madre?”
Fermati, Cathy. Fermati fin che sei in tempo, tieni a freno la lingua. È sua madre, dannazione. Non puoi aver nulla da ridire sul fatto che vada spesso a trovarla solo perché flirta allegramente con le infermiere carine. In fondo è in disaccordo con te su una questione di metodo… o meglio dei tuoi metodi non proprio convenzionali.
Cathy fece un bel respiro e cercò di concentrarsi sul lavoro: non poteva perdere anche questo. Sarebbe stato il suo tredicesimo fallimento. “No, nulla da ridire. Ma dimmi che cosa prendi, piuttosto.”
“C’è qualche problema, Mister McGrady?” domandò Arlo avvicinandosi a loro. “Abbiamo già avuto qualche lamentela sul comportamento di Cathy per cui, se le sta dando fastidio, me lo dica senza problemi. Voglio che i miei clienti lascino il locale soddisfatti.”
Cathy si irrigidì. Non era vero. Nessuno si era lamentato di lei. Un momento, forse un cliente, ma quel "rozzone" si era comportato male con una ragazza che aveva con sé il figlioletto. La poverina non riusciva a farlo smettere di piangere e lui l’aveva aggredita. Così Cathy gli aveva rovesciato addosso il caffè bollente, rovinandogli il vestito nuovo. Lui si era infuriato e l’aveva riempita di insulti, ma almeno se n’era andato e tutto era ritornato alla normalità in un attimo.
Arlo posò le mani sui suoi grassi fianchi: “Allora, Mister McGrady?”
Zitta, Cathy. Quante volte ti devo dire che spesso sarebbe opportuno tacere? Che devi lasciar correre, abbozzare, perché rischi di perdere il lavoro?
Sentiva la voce di sua madre rimproverarla. Parole sante. “Non c’è nessun problema, Arlo” si intromise.
“Cathy ha ragione, Arlo. Nessun problema,” ripeté Flynn squadrandolo da capo a piedi con un’espressione granitica.
L’uomo fece una smorfia. I due non gliela contavano giusta. “Ne è sicuro? Non le conviene difenderla. Sa difendersi anche da sola con quella linguaccia che si ritrova. Sa tutto lei, la signorina, ha sempre da ridire e sembra che solo lei sappia come si debba gestire un locale.”
Cathy rimase a bocca aperta. Non era affatto vero. Anzi, non era mai stata così zitta e tranquilla come da quando lavorava per Arlo. Poteva mai essere che tutto quel risentimento dipendesse da quell’unica volta in cui aveva versato il caffè addosso a quell’idiota, che tra l’altro se lo meritava eccome? Difendere una giovane mamma da quel cavernicolo era stato un dovere morale. Se questo significava essere una dissidente...
Sua madre aveva ragione, doveva imparare a controllarsi, a essere più diplomatica, ma lei proprio non ci riusciva.
E ora doveva prepararsi a dire addio anche al tredicesimo lavoro? Ma poi cosa avrebbe risposto a Carson Reynolds, il commercialista della clinica Oakdale?
 
Merd...! L’ultima cosa che voleva era far licenziare Cathy dal caffè e tornare alla clinica per dirlo a sua madre. Licenziata dopo soli tre mesi non era il massimo. Flynn era arrabbiato con lei perché aveva circuito sua madre ma non fino a quel punto!
Avrebbe anche potuto difenderla, ma quel tiranno di Arlo non avrebbe mai cambiato idea su di lei.
Arlo era come una tigre in gabbia, che sembrava non vedere l’ora di sbranare Cathy per fare provvista di proteine. Licenziata. Era stata licenziata.
Dal finestrino della macchina che aveva preso a noleggio Flynn McGrady posò lo sguardo su Cathy. Aveva parcheggiato l’auto nello spiazzo su cui affacciavano diversi caffè, che servivano la casa di cura. Il suo sguardo si posò poi sulle lunghe gambe di Cathy, sui suoi capelli castani che, quando la luce li attraversava, tendevano al dorato. Le guance si erano imporporate per lo sdegno.
In quel momento si rese conto di quanto fosse bella: la sua pelle di porcellana, le labbra tumide e gli occhi allungati, leggermente a mandorla. Non aveva mai avuto modo di osservarla davvero anche perché andava sempre di fretta quando si incrociavano in clinica.
Catherine Butler era una specie di Madre Teresa di Oakdale. L’amavano tutti. Non c’era un solo paziente o un solo infermiere che non provasse simpatia per lei. Cucinava per loro splendidi cupcake quando qualcuno si diplomava o veniva dimesso dalla clinica e invitava tutti a servirsi e a unirsi ai festeggiamenti.
Giocava a carte con i pazienti e si assicurava che tutti ne prendessero parte, infermieri compresi. Una volta aveva persino comprato dei costumi e aveva organizzato una sorta di ballo in maschera, con tanto di parata tra i corridoi.
In sostanza, Cathy era una ragazza d’oro e lui un coglione. Ecco la verità. Aveva esagerato nel giudicarla male per i libri che aveva portato a sua madre. Avrebbe voluto scusarsi, lasciar correre e non farle perdere il posto.
Catherine era seduta su una panchina sotto un albero e copriva il viso con le mani. Le spalle tremavano, stava piangendo. Un raggio di sole, attraversava la coltre di foglie e si posava sulla sua schiena.
Perfetto. Ora l’hai pure fatta piangere, razza di cretino!
Si era comportato come un perfetto idiota con lei fin dal primo momento, quando cioè aveva capito che lei era l’angelo di Oakdale. Dall’ictus di sua madre stava vivendo un periodo orribile, si comportava malissimo, almeno così gli diceva sua sorella Adeline.
Il continuo andirivieni da New York ad Atlanta per far visita a sua madre tutti i weekend, assistere ai lenti e piccoli progressi di lei mentre cercava di dirigere la sua azienda era stato un massacro. Almeno questa era la giustificazione che dava a se stesso.
Non è un buon motivo per prendersela con quella ragazza, Flynn.
Se l’era presa con lei solo perché lei era riuscita dove lui aveva fallito: aveva fatto interessare sua madre a qualcosa, finalmente. Si era risentito. Ecco cos’era successo. Nulla aveva scalfito Della, nulla l’aveva divertita o emozionata prima che Cathy le portasse quei libri rosa.
Doveva ammetterlo, si era sentito in imbarazzo. Dopotutto era pur sempre sua madre e sentirla pronunciare frasi come: Sculacciami più forte! di fronte a tutti, nel salone comune… be’, lo aveva mandato in bestia.
Tuttavia doveva ammettere che sua madre adorava Cathy. Si era creato tra loro due un legame forte, fatto di una strana e segreta forma di comunicazione che aveva fatto rinascere Della. Il suo viso si illuminava quando c’era Cathy.
Nei tre mesi passati aveva fatto visita alla madre solo nei weekend e l’aveva vista interagire con Cathy in ogni modo: guardavano la tv assieme e comunicavano nelle maniere più strampalate. Eppure comunicavano. Era rimasto molto colpito dalla maniera in cui Cathy consolava Della quando era frustrata, le accarezzava la mano, si avvicinava a lei, mormorandole qualcosa all’orecchio e Della si calmava subito.
La dolce Cathy aveva tutte le qualità che servivano per stare accanto a sua madre. Qualità che a lui mancavano del tutto.
Avrebbe forse dovuto leggere qualcosa a sua madre? Qualcosa tipo quei romanzetti rosa? In trentasei anni, Flynn non aveva mai visto sua madre leggere quel tipo di romanzi. Maledizione! Avrebbe voluto che sua sorella Adeline fosse lì. Lei avrebbe saputo cosa fare, ma era in missione in Afghanistan e si vedevano e sentivano solo durante brevi e disturbate sessioni di skype.
L’ultima cosa che voleva era che sua madre ripiombasse nel silenzio. Se Della avesse scoperto che proprio suo figlio aveva avuto un ruolo nel licenziamento di Cathy e che per questo lei aveva lasciato Oakdale, non glielo avrebbe mai perdonato. Flynn afferrò il manubrio e posò nuovamente lo sguardo su Cathy. E adesso?
Tutto. Avrebbe fatto di tutto per far sì che a sua madre tornasse la voglia di vivere. I dottori gli avevano assicurato che se avesse voluto, Della avrebbe recuperato tutte le sue facoltà.
Dal trasferimento di Adeline in Afghanistan alla morte di suo padre, Della aveva perso ogni interesse nella vita.
Ciò che era accaduto, aveva reso necessario un suo trasferimento temporaneo da New York ad Atlanta. L’ictus di sua madre aveva stabilito nuove priorità nella sua vita. Era chiaro che sua madre aveva sofferto tanto e che lui non se n’era accorto perché stato assente dalla sua vita, aveva pensato solo al lavoro.
Ma ora era lì. Aveva affittato un appartamento e aveva deciso di starle più vicino. E avrebbe fatto la cosa giusta. L’avrebbe fatto per sua madre… e per Cathy.

Atlanta, Georgia, 2012

“Tu lavori qui?” chiese Flynn McGrady, dando un’ultima occhiata al piccolo caffè.

Catherine Butler fece uno sforzo per non alzare gli occhi al cielo e schiuse le labbra in un sorriso di circostanza, nel caso remoto in cui Arlo, il suo capo, si fosse voltato a guardarla. “Persino gli orchi bevono caffè?” esclamò.

“Solo quelli che mangiano i bambini.” Si accarezzò lo stomaco piatto con la mano abbronzata e le sorrise appena. “Sai, dobbiamo prima pulirli bene, i loro ossicini sono appuntiti come quelli dei polletti”.

Oh cielo, no. Flynn McGrady era l’uomo più insopportabile di quella parte dello stato. Non si salvavano nemmeno le fossette che ogni tanto esibiva, le rare volte in cui sorrideva.

No, proprio no. Catherine strinse la penna tra le dita e chiuse il blocco appunti, cercando di distogliere la mente dall’immagine orribile che lui le aveva appena evocato e che le faceva rivoltare lo stomaco.

“Che cosa prendi?” Parlo con te, idiota!

“Tu che cosa mi consigli?”

Ti consiglierei qualcuno molto più tosto di me che ti metta a posto come si deve e ti mandi via a calci nel sedere? “Dipende da quello che ti piace. Il menù e proprio lì davanti a te.”

“Sì, lo vedo. Ma io sto chiedendo a te che cosa ti piace” ribatté serrando le mascelle squadrate in segno di sfida.

“Che cosa mi piace? Mi piacciono i clienti che sanno leggere da soli,” gli rispose indicandogli la lavagna scura appesa al muro, su cui erano segnati i piatti del giorno. Ci aveva perso un’ora a disegnare faccette felici sulla lavagna per rendere il menù più divertente e stuzzicante. La lavagna si trovava proprio davanti a lui, al di sopra della macchina del caffè.

Le mascelle di Flynn si irrigidirono ancora di più e la sua espressione si indurì. Sebbene le costasse molto, Catherine doveva ammettere che le faceva un certo effetto quella sorta di sguardo minaccioso, unito ai muscoli ben torniti che si intravedevano dalla camicia. L’aveva notato fin dal giorno in cui si erano conosciuti alla Casa di Cura Oakdale, dov’erano ricoverate le madri di entrambi.

“A me invece piacciono le bariste gentili e collaborative” replicò lo sconosciuto fissandola negli occhi.

Arlo, proprietario del bar nonché suo tiranno, la stava osservando da lontano. Aveva le braccia conserte e l’espressione imbronciata. Dannazione! Catherine era finita nella lista nera di coloro da tenere sott’occhio da quando aveva spiegato a un vecchio cliente che il triplo cappuccino non era per niente triplo. Arlo era un gran taccagno e Howard, uno dei suoi clienti prediletti, era un’entrata fissa e garantita. Veniva al caffè ogni giorno a mezzogiorno in punto, quando sua moglie era nell’edificio di fronte a fare fisioterapia. Beveva una tazza di caffè e mangiava un sandwich che però portava da casa. Cathy era ammirata dalla dedizione che Howard aveva nei riguardi della moglie.

Le sue parole verso di lei erano sempre così dolci, la sua devozione totale. Un amore assoluto che lei sperava di trovare un giorno.

L’amore. Magari anche solo una relazione che durasse più di pochi mesi prima cioè che lei perdesse interesse e rivolgesse il suo sguardo verso altri orizzonti.

Così, non aveva potuto star zitta e guardare Arlo mentre faceva pagare l’extra a Howard per il triplo cappuccino, era una vera ingiustizia. Tutti i dipendenti del caffè erano stati istruiti a spillare il più possibile dai clienti, faceva quasi parte del contratto. Maledetto taccagno.

Sebbene avesse un disperato bisogno di quel lavoro per pagare le spese del ricovero di sua madre alla clinica di Oakdale, Cathy non poteva andar contro la sua coscienza.

Cathy si mosse lentamente quando sentì addosso a sé lo sguardo inquisitore di Arlo e rispose: “Ascolta, Miester McGrady, so che abbiamo avuto le nostre divergenze in clinica. Non intendevo farti un torto quando ho portato a tua madre quelli che hai definito romanzetti osceni. Devi pur ammettere, però, che quei romanzi osceni le hanno permesso di ricordare alcune parole che sembrava aver dimenticato.”

Flynn aprì la sua bella bocca per ribattere, ma Cathy non gliene diede il tempo, perché alzò la mano prima che Mister So-tutto-io potesse protestare. “È vero che alcune parole erano un pochino… colorite, ma erano e sono pur sempre parole, no? E dopo un ictus, è molto importante riuscire a parlare, a esprimersi. Chiedi pure al dottor Fairlane. Ora, la casa di cura è una cosa, il mio lavoro è un’altra. Per favore, dunque, risparmiami il tuo risentimento; almeno qui.”

Che giornataccia! Non solo aveva dovuto sorbirsi la ramanzina del commercialista della clinica perché era in ritardo con la retta, ma ora arrivare anche litigare con un cliente rischiando di perdere il posto. Anche no grazie.

Oakdale era la migliore clinica privata della zona. La più esclusiva casa di cura del paese, che garantiva un eccellente programma di riabilitazione. Costava una fortuna, ma sua madre soffriva di diabete e necessitava di cure e di assistenza continue. Il fatto che lei non potesse garantirgliele giornalmente e a tutte le ore era un vero problema, per Cathy. Così avevano venduto la casa doveva avevano vissuto fino a poco tempo prima e una parte del ricavato era servita al ricovero a Oakdale. Avrebbero pensato dopo a dove andare a vivere, quando sua madre si fosse ristabilita.

Aveva faticato non poco a convincere quelli della clinica ad accogliere sua madre, viste le sue misere condizioni economiche, eppure ci era riuscita. Aveva poi trovato lavoro, sebbene non fosse una campionessa nel riuscire a mantenere un posto per più di qualche mese. Stavolta, però, doveva stringere i denti, si trattava del futuro e della salute di sua madre. Aveva bisogno di questo lavoro, la sua vita e quella di sua madre dipendevano da quei soldi.

“Le parole sono molto importanti, su questo siamo d’accordo, Miss Butler. È la scelta delle parole il punto su cui siamo in disaccordo. Non poteva portarle qualcosa di meno colorito? Qualcosa tipo… un libro per ragazzi?”

Cathy sorrise tra sé pensando a Della, la madre di Flynn, mentre si sforzava di pronunciare alcune parole che leggeva, seduta al centro della grande stanza dove i pazienti ricevevano visite.

“Suvvia, I Tre Moschettieri non ha un linguaggio così ricco di espressioni come Sculacciami più forte! Dopo lo choc iniziale per il contenuto di quei libri, ora tua madre pronuncia alcune parole alla perfezione. Quindi, rilassati.”

Flynn arrossì leggermente ed esclamò: “Faccio ancora fatica a credere come mai ti lascino ancora libera di chiacchierare con gli altri pazienti.”

Cathy si inalberò, anche se doveva ammettere che quei romanzi erano un po’ troppo spinti e che, se qualcuno li avesse fatti leggere a sua madre, avrebbe avuto anche lei da ridire. “Non posso credere che tu non sia felice che tua madre, dopo l’ictus, riesca a pronunciare per la prima volta parole difficili.”

Giocherellando nervosamente con il lembo del tovagliolo, Flynn batteva le dita sul tavolo. “Ti stai prendendo il merito per i suoi miglioramenti, ora?”

“No, ma un merito ce l’ho, ed è quello di averla rallegrata almeno un pochino, data la triste situazione. Tutto qui.”

Flynn la guardò. Aveva due splendidi occhi blu e una voce calda e avvolgente. “E così anche appendere poster che ritraggono uomini mezzi nudi è solo un modo per rallegrare l’ambiente, giusto?”

Cathy scrollò le spalle. “Be’, non lo è per gli uomini insicuri o per quelli che credono di sapere tutto. Altri meno spacconi di te hanno apprezzato, così come tua madre Della; anche a lei son piaciuti i poster. Avresti dovuto sapere che prima dell’ictus tua madre amava leggere libri romantici. E non mi sorprende affatto che non ci fosse un solo libro rosa tra quelli che le avevi portato in clinica.”

“Non era sicuro che sarebbe stata in grado di leggere.”

Cathy sbiancò per un attimo quando si accorse che Arlo stava osservando la tasca del suo grembiule: il suo dannato telefonino vibrava. Probabilmente la stavano chiamando dalla clinica, per chiederle ancora della retta.

Non avrebbe risposto, non ora per lo meno. Il suo pensiero andò al casino che aveva fatto Flynn quando sua madre aveva ripreso a parlare cinguettando parole oscene. Aveva sbraitato come se Cathy avesse portato Della in un locale ambiguo. Tutto quel rumore per nulla.

In fondo lei le aveva solo dato ciò che l’avrebbe resa felice, e così era stato. Erano ormai tre mesi che Cathy conosceva Della e lei, durante tutto quel tempo, non aveva mai sorriso se non quando aveva cominciato ad articolare dei suoni. Lo sguardo triste che aveva si era trasformato in uno sguardo carico di speranza quando le aveva portato la copia di La Tata dei Gemelli dello Sceicco – se ricordava bene il titolo del romanzo. Le labbra di Della avevano tremato in quello che era un sorriso. Cathy ne era certa.

Quindi quell’idiota, spaccone e maleducato di suo figlio poteva dire quello che voleva. Aveva ragione lei. Niente e nessuno le avrebbe impedito di incoraggiare Della, nemmeno suo figlio.

“Non hai nemmeno provato a circondarla delle cose che aveva amato prima dell’ictus, non è così? Ho chiesto a tua cugina Emmaline… Amos, giusto?”

Flynn annuì. Un’espressione grata gli si dipinse sul volto. “Sì, lei.”

“È così dolce, carina e gentile. Mi ha chiesto di chiamarla Emma e di farle sapere tutto ciò che può servire a far felice tua madre, perché ha intenzione di passare ad Atlanta e farle una visita. Se invece di criticare tutto e tutti, stessi accanto a tua madre un po’ più spesso e capissi cosa le piace davvero – romanzi rosa compresi – magari lei sarebbe più felice.”

Ti stai prendendo troppe libertà, Catherine Butler…

Flynn aggrottò le sopracciglia: “Stai per caso polemizzando sul mio modo di gestire la riabilitazione di mia madre?”

Fermati, Cathy. Fermati fin che sei in tempo, tieni a freno la lingua. È sua madre, dannazione. Non puoi aver nulla da ridire sul fatto che vada spesso a trovarla solo perché flirta allegramente con le infermiere carine. In fondo è in disaccordo con te su una questione di metodo… o meglio dei tuoi metodi non proprio convenzionali.

Cathy fece un bel respiro e cercò di concentrarsi sul lavoro: non poteva perdere anche questo. Sarebbe stato il suo tredicesimo fallimento. “No, nulla da ridire. Ma dimmi che cosa prendi, piuttosto.”

“C’è qualche problema, Mister McGrady?” domandò Arlo avvicinandosi a loro. “Abbiamo già avuto qualche lamentela sul comportamento di Cathy per cui, se le sta dando fastidio, me lo dica senza problemi. Voglio che i miei clienti lascino il locale soddisfatti.”

Cathy si irrigidì. Non era vero. Nessuno si era lamentato di lei. Un momento, forse un cliente, ma quel rozzone si era comportato male con una ragazza che aveva con sé il figlioletto. La poverina non riusciva a farlo smettere di piangere e lui l’aveva aggredita. Così Cathy gli aveva rovesciato addosso il caffè bollente, rovinandogli il vestito nuovo. Lui si era infuriato e l’aveva riempita di insulti, ma almeno se n’era andato e tutto era ritornato alla normalità in un attimo.

Arlo posò le mani sui suoi grassi fianchi: “Allora, Mister  McGrady?”

Zitta, Cathy. Quante volte ti devo dire che spesso sarebbe opportuno tacere? Che devi lasciar correre, abbozzare, perché rischi di perdere il lavoro?

Sentiva la voce di sua madre rimproverarla. Parole sante. “Non c’è nessun problema, Arlo” si intromise.

“Cathy ha ragione, Arlo. Nessun problema,” ripeté Flynn squadrandolo da capo a piedi con un’espressione granitica.

L’uomo fece una smorfia. I due non gliela contavano giusta. “Ne è sicuro? Non le conviene difenderla. Sa difendersi anche da sola con quella linguaccia che si ritrova. Sa tutto lei, la signorina, ha sempre da ridire e sembra che solo lei sappia come si debba gestire un locale.”

Cathy rimase a bocca aperta. Non era affatto vero. Anzi, non era mai stata così zitta e tranquilla come da quando lavorava per Arlo. Poteva mai essere che tutto quel risentimento dipendesse da quell’unica volta in cui aveva versato il caffè addosso a quell’idiota, che tra l’altro se lo meritava eccome? Difendere una giovane mamma da quel cavernicolo era stato un dovere morale. Se questo significava essere una dissidente...

Sua madre aveva ragione, doveva imparare a controllarsi, a essere più diplomatica, ma lei proprio non ci riusciva.

E ora doveva prepararsi a dire addio anche al tredicesimo lavoro? Ma poi cosa avrebbe risposto a Carson Reynolds, il commercialista della clinica Oakdale?

 

Merda!

L’ultima cosa che voleva era far licenziare Cathy dal caffè e tornare alla clinica per dirlo a sua madre. Licenziata dopo soli tre mesi non era il massimo. Flynn era arrabbiato con lei perché aveva circuito sua madre ma non fino a quel punto!

Avrebbe anche potuto difenderla, ma quel tiranno di Arlo non avrebbe mai cambiato idea su di lei.

Arlo era come una tigre in gabbia, che sembrava non vedere l’ora di sbranare Cathy per fare provvista di proteine. Licenziata. Era stata licenziata.

Dal finestrino della macchina che aveva preso a noleggio Flynn McGrady posò lo sguardo su Cathy. Aveva parcheggiato l’auto nello spiazzo su cui affacciavano diversi caffè, che servivano la casa di cura. Il suo sguardo si posò poi sulle lunghe gambe di Cathy, sui suoi capelli castani che, quando la luce li attraversava, tendevano al dorato. Le guance si erano imporporate per lo sdegno.

In quel momento si rese conto di quanto fosse bella: la sua pelle di porcellana, le labbra tumide e gli occhi allungati, leggermente a mandorla. Non aveva mai avuto modo di osservarla davvero anche perché andava sempre di fretta quando si incrociavano in clinica.

Catherine Butler era una specie di Madre Teresa di Oakdale. L’amavano tutti. Non c’era un solo paziente o un solo infermiere che non provasse simpatia per lei. Cucinava per loro splendidi cupcake quando qualcuno si diplomava o veniva dimesso dalla clinica e invitava tutti a servirsi e a unirsi ai festeggiamenti.

Giocava a carte con i pazienti e si assicurava che tutti ne prendessero parte, infermieri compresi. Una volta aveva persino comprato dei costumi e aveva organizzato una sorta di ballo in maschera, con tanto di parata tra i corridoi.

In sostanza, Cathy era una ragazza d’oro e lui un coglione. Ecco la verità. Aveva esagerato nel giudicarla male per i libri che aveva portato a sua madre. Avrebbe voluto scusarsi, lasciar correre e non farle perdere il posto.

Catherine era seduta su una panchina sotto un albero e copriva il viso con le mani. Le spalle tremavano, stava piangendo. Un raggio di sole, attraversava la coltre di foglie e si posava sulla sua schiena.

Perfetto. Ora l’hai pure fatta piangere, razza di cretino!

Si era comportato come un perfetto idiota con lei fin dal primo momento, quando cioè aveva capito che lei era l’angelo di Oakdale. Dall’ictus di sua madre stava vivendo un periodo orribile, si comportava malissimo, almeno così gli diceva sua sorella Adeline.

Il continuo andirivieni da New York ad Atlanta per far visita a sua madre tutti i weekend, assistere ai lenti e piccoli progressi di lei mentre cercava di dirigere la sua azienda era stato un massacro. Almeno questa era la giustificazione che dava a se stesso.

Non è un buon motivo per prendersela con quella ragazza, Flynn.

Se l’era presa con lei solo perché lei era riuscita dove lui aveva fallito: aveva fatto interessare sua madre a qualcosa, finalmente. Si era risentito. Ecco cos’era successo. Nulla aveva scalfito Della, nulla l’aveva divertita o emozionata prima che Cathy le portasse quei libri rosa.

Doveva ammetterlo, si era sentito in imbarazzo. Dopotutto era pur sempre sua madre e sentirla pronunciare frasi come: Sculacciami più forte! di fronte a tutti, nel salone comune… be’, lo aveva mandato in bestia.

Tuttavia doveva ammettere che sua madre adorava Cathy. Si era creato tra loro due un legame forte, fatto di una strana e segreta forma di comunicazione che aveva fatto rinascere Della. Il suo viso si illuminava quando c’era Cathy.

Nei tre mesi passati aveva fatto visita alla madre solo nei weekend e l’aveva vista interagire con Cathy in ogni modo: guardavano la tv assieme e comunicavano nelle maniere più strampalate. Eppure comunicavano. Era rimasto molto colpito dalla maniera in cui Cathy consolava Della quando era frustrata, le accarezzava la mano, si avvicinava a lei, mormorandole qualcosa all’orecchio e Della si calmava subito.

La dolce Cathy aveva tutte le qualità che servivano per stare accanto a sua madre. Qualità che a lui mancavano del tutto.

Avrebbe forse dovuto leggere qualcosa a sua madre? Qualcosa tipo quei romanzetti rosa? In trentasei anni, Flynn non aveva mai visto sua madre leggere quel tipo di romanzi. Maledizione! Avrebbe voluto che sua sorella Adeline fosse lì. Lei avrebbe saputo cosa fare, ma era in missione in Afghanistan e si vedevano e sentivano solo durante brevi e disturbate sessioni di Skype.

L’ultima cosa che voleva era che sua madre ripiombasse nel silenzio. Se Della avesse scoperto che proprio suo figlio aveva avuto un ruolo nel licenziamento di Cathy e che per questo lei aveva lasciato Oakdale, non glielo avrebbe mai perdonato. Flynn afferrò il manubrio e posò nuovamente lo sguardo su Cathy. E adesso?

Tutto. Avrebbe fatto di tutto per far sì che a sua madre tornasse la voglia di vivere. I dottori gli avevano assicurato che se avesse voluto, Della avrebbe recuperato tutte le sue facoltà.

Dal trasferimento di Adeline in Afghanistan alla morte di suo padre, Della aveva perso ogni interesse nella vita.

Ciò che era accaduto, aveva reso necessario un suo trasferimento temporaneo da New York ad Atlanta. L’ictus di sua madre aveva stabilito nuove priorità nella sua vita. Era chiaro che sua madre aveva sofferto tanto e che lui non se n’era accorto perché stato assente dalla sua vita, aveva pensato solo al lavoro.

Ma ora era lì. Aveva affittato un appartamento e aveva deciso di starle più vicino. E avrebbe fatto la cosa giusta. L’avrebbe fatto per sua madre… e per Cathy.

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