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Titanic: appuntamento col destino

di MARGUERITE KAYE

Jennifer Spencer sta per attraversare l’oceano sul Titanic per cominciare una nuova vita in America. Sola. O almeno così crede, fino a quando non scopre che la sua irresponsabile gemella, Maud, è salita a bordo clandestinamente. Pur essendo un’azione sconsiderata, Jennifer è contenta che la sorella abbia corso quel rischio. In fondo lei ha bisogno che qualcuno le ricordi di tenere a distanza l'affascinante uomo d’affari Max Blakely per cui ha perso la testa. Ancora prima di salpare, però, apre la porta di una cabina e…

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 RMS Titanic, Southamptondock, Mercoledì, 10 Aprile, 1912
Quando i rimorchiatori iniziarono le manovre per allontanare la maestosa nave dal molo, la folla radunata sulla banchina eruppe in una cacofonia di suoni: la musica della banda di ottoni fu smorzata in parte dalle grida dei presenti che auguravano buona fortuna al Titanic. I passeggeri e molti membri del personale erano assiepati sul ponte superiore della nave, altri si sporgevano dalle passeggiate coperte inferiori, e altri ancora si trovavano sul ponte di poppa, tutti agitando la mano in segno di saluto e lanciando stelle filanti.
Jennifer Spencer si fece largo attraverso la prima classe del ponte A, entrando a turno in tutte le cabine. In qualità di hostess di bordo - erano solo diciotto - si era offerta volontaria per quel controllo, grata di avere qualcosa che la tenesse occupata. Era forse l’unica persona di tutta la nave che non aveva un volto amico che salutava dal molo, rifletté tristemente. Erano trascorse più di due settimane da quando aveva scritto a sua sorella, ma non aveva ricevuto neppure una parola di risposta da Maud. Sai che sorpresa!
Deglutì il nodo che le era salito in gola chiedendosi quando avrebbe rivisto la sua esasperante, capricciosa nonché irresponsabile sorella. Soprappensiero, diede un colpetto alla porta della cabina 20 A ed entrò senza attendere risposta. Osservando con occhio critico l’opulento salotto, si avvicinò al tavolo per spostare verso il centro il vaso di fiori, quando la porta della camera da letto di aprì, e l’occupante della cabina apparve sulla soglia.
Era alto e straordinariamente affascinante. Doveva essere sui trentacinque anni, e aveva folti capelli scuri, occhi castani e liquidi e una di quelle bocche che sembravano essere sempre in procinto di sorridere. Era evidente che si stava cambiando perché aveva la camicia aperta, che rivelava uno spicchio di torace abbronzato.
Che lei non avrebbe dovuto fissare, anche se lui aveva un aspetto glorioso che lo faceva apparire come se fosse emerso dalla scena di un film. Mortificata, Jennifer fece un passò indietro. «Mi... scusi...» balbettò imbarazzata. «Pensavo che fosse fuori sul ponte, come tutti.»
Il passeggero sollevò un sopracciglio e le fece un mezzo sorriso. Lei non fu sorpresa nel vedere che aveva denti perfettamente bianchi, ma si irritò scoprendo che quel sorriso stava provocando strane reazioni al suo respiro.
«Che cosa diavolo fai qui?» le domandò lui avvicinandosi. Era davvero molto alto. «Perché non mi hai detto che saresti stata a bordo?»
Americano, considerò lei astrattamente. Bella voce, morbida ma profonda. Poi scosse il capo, confusa. «Credo che mi confonda con qualcun’altra...»
Odorava di sapone costoso. Prima che potesse allontanarsi, lui l’afferrò per il polso. «Che cosa fa?» esclamò, la voce più affannata che spaventata.
«Non fare la ritrosa con me. Quando mi hai promesso un altro bacio se le nostre strade si fossero incrociate di nuovo, non pensavo sarebbe mai accaduto. Ma adesso siamo qui, perciò baciami» le ordinò lui incollando le labbra alle sue.
Lei era troppo stordita per muoversi. Per alcuni secondi senza tempo assaporò le sue labbra, avvertendo la scioccante vicinanza del suo corpo. Aveva dimenticato come poteva essere delizioso un bacio. Aveva scordato come fosse, la connessione che creava, l’eccitante scossa del desiderio... riflesso nel sibilo del respiro di lui.
Aveva dimenticato quanto era facile lasciarsi trascinare via.

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